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Il caso

Un volto e un nome dietro ogni fascicolo «I magistrati in carcere come detenuti»

Roberto Capra: «A entrare al Lorusso e Cotugno oggi c’è da piangere. I giudici devono saperlo»

Un volto e un nome dietro ogni fascicolo «I magistrati in carcere come detenuti»

Doveva tenersi dentro il carcere Lorusso e Cutugno di Torino, come previsto e già autorizzato dalle autorità penitenziarie. Ma a poche ore dall’apertura, il Provveditorato regionale dell’Amministrazione penitenziaria del Piemonte ha revocato il permesso, costringendo gli organizzatori a spostare il convegno alla Fondazione dell’Avvocatura Torinese Fulvio Croce. «Ci è stato fatto uno sgarbo immenso e inaudito», ha dichiarato Emilia Rossi della Camera penale del Piemonte occidentale, coordinatrice di una delle due tavole rotonde. «È stata un’enorme scortesia istituzionale, senza alcuna motivazione seria. Avevamo ricevuto l’autorizzazione, poi ci è stata tolta all’improvviso».


Rossi, già garante nazionale dei detenuti, non nasconde l’amarezza: «È un momento drammatico per le carceri italiane. E anche questo episodio racconta molto della difficoltà di affrontare il tema con trasparenza». Il convegno, intitolato “Conoscere per giudicare e vedere per condannare”, nasceva per discutere del progetto di legge “Sciascia-Tortora”, presentato in Parlamento da Amici di Leonardo Sciascia, Fondazione internazionale per la giustizia Enzo Tortora e Italia Stato di Diritto.
Il testo propone un nuovo percorso di formazione per i magistrati, che unisca lo studio di testi fondamentali del pensiero giuridico con un’esperienza diretta in carcere: quindici giorni da vivere “come detenuti”, per comprendere cosa significhi privare qualcuno della libertà. Un modello già sperimentato in Francia. «Non è una proposta punitiva — spiegano i promotori — ma un modo per dare ai magistrati maggiore consapevolezza delle conseguenze delle proprie decisioni».
Anche l’onorevole e avvocato Michele Vietti ha espresso stupore per la decisione dell’Amministrazione penitenziaria: «Conoscere per giudicare è un titolo assolutamente condivisibile. Per giudicare bisogna conoscere. Ma non so come conciliare questo principio con la revoca dell’autorizzazione. Forse non hanno piacere che si conosca. Non è un buon segno». Il convegno, pensato per svolgersi nel luogo simbolo della pena, è diventato così l’ennesima occasione mancata. «In carcere non c’è nessun detenuto senza un provvedimento di un magistrato», ha ricordato l’avvocato Roberto Capra, presidente della Camera Penale del Piemonte e della Valle d’Aosta, intervenuto al dibattito. «Ecco perché non è possibile che chi giudica non conosca il penitenziario. Se entriamo in una delle sezioni del Lorusso e Cutugno, c’è da piangere: fatiscenza, sovraffollamento, mancanza di servizi essenziali. Fattori che non possono essere ignorati». Alla base della proposta c’è la lezione di Leonardo Sciascia, che dopo l’arresto di Enzo Tortora scrisse della responsabilità di chi giudica e della necessità di “conoscere per capire”. Perché dietro ogni fascicolo ci sono volti, storie, persone: l’errore giudiziario non è un concetto astratto ma un rischio reale.

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