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Permessi retribuiti per chi assiste cani e gatti

Dalla sentenza della Cassazione del 2018 all’iniziativa parlamentare: come cambiano i diritti dei lavoratori con animali domestici

Permessi retribuiti per chi assiste cani e gatti

Il tema del congedo retribuito per la cura degli animali domestici è tornato al centro del dibattito politico e giuridico

Il tema del congedo retribuito per la cura degli animali domestici è tornato al centro del dibattito politico e giuridico. L’attenzione nasce da un’evoluzione interpretativa già avviata nel 2018, quando la Corte di Cassazione riconobbe la possibilità di considerare l’assistenza a un cane o a un gatto come un “grave motivo personale o familiare” ai sensi della legge 53/2000. Quella decisione, originata dal caso di una dipendente pubblica che si era assentata dal lavoro per accompagnare il proprio cane malato dal veterinario, aveva introdotto un precedente significativo: in presenza di emergenze sanitarie documentate, l’assenza poteva essere giustificata e, in determinati contratti collettivi, anche retribuita.

Oggi, a distanza di anni, una proposta di legge depositata alla Camera mira a rendere questa possibilità una norma di carattere generale. Il testo prevede l’introduzione di permessi retribuiti fino a tre giorni l’anno in caso di decesso del proprio animale da compagnia e fino a otto ore annuali per la gestione di emergenze veterinarie o malattie gravi. La misura, se approvata, sarebbe applicabile a tutti i lavoratori dipendenti del settore pubblico e privato, con la necessità di presentare una certificazione veterinaria che attesti l’urgenza o la gravità della condizione dell’animale.

Il disegno di legge stabilisce inoltre che il permesso possa essere concesso solo se il lavoratore dimostra l’impossibilità di delegare la cura a terze persone, come familiari o servizi specializzati. In questo modo si intende evitare abusi e garantire l’effettiva necessità dell’intervento del proprietario. La ratio giuridica della proposta è duplice: da un lato, riconoscere il ruolo degli animali da compagnia come parte integrante della vita familiare; dall’altro, prevenire violazioni dell’articolo 727 del Codice penale, che punisce l’abbandono e il maltrattamento.

Secondo i dati dell’Associazione Nazionale Medici Veterinari Italiani, in Italia vivono oltre 65 milioni di animali domestici, con una presenza stabile in circa il 40% delle famiglie. Questo dato evidenzia l’impatto potenziale della norma: milioni di lavoratori potrebbero beneficiare di una tutela coerente con il mutato contesto sociale, in cui gli animali sono sempre più riconosciuti come esseri senzienti e fonte di equilibrio psicologico.

La proposta si inserisce in un quadro europeo in evoluzione. In Paesi come Germania e Svizzera, alcune aziende prevedono già permessi specifici per la cura o la perdita degli animali domestici, inserendoli nei contratti aziendali o nei piani di welfare. L’Italia, con questa iniziativa, si allineerebbe a tali modelli, introducendo un principio di responsabilità e benessere animale anche nell’organizzazione del lavoro.

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