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Il fatto

Domani è il giorno di Alex: alla Cassazione l’ultima parola sui fatti del 2020

Cinque anni fa, a Collegno, uccise il padre con 34 coltellate In primo grado, la Corte d’Assise di Torino lo assolse: legittima difesa. In appello, la condanna

Oggi è il giorno di Alex Pompa: alla Cassazione l’ultima parola sui fatti del 2020

Domani è il giorno di Alex. A Roma, la Cassazione decide il destino del ragazzo che, cinque anni fa, a Collegno, uccise il padre con 34 coltellate. Lo fece dopo una vita passata nella paura, in una casa dove — come racconteranno poi le registrazioni — ogni parola poteva diventare un detonatore. Oggi Alex non porta più il cognome del padre, Pompa. Ha scelto quello della madre, Cotoia, per lasciare alle spalle la parte più buia della sua vita. Ma non può ancora lasciarsi alle spalle la giustizia. Perché il processo non è finito: tocca ai giudici supremi dire se quel gesto fu difesa o condanna, sopravvivenza o colpa.

Il 30 aprile 2020, in un appartamento di Collegno la tensione familiare accumulata negli anni esplose. Secondo la ricostruzione dei carabinieri, Alex — allora diciottenne — intervenne per difendere la madre da un’aggressione del marito, Giuseppe Pompa. L’uomo, 52 anni, era descritto come ossessivo, violento, dominatore. Per anni aveva tenuto la famiglia sotto minaccia, con insulti, telefonate ossessive, controlli, umiliazioni. I figli, stremati, avevano iniziato a registrare le sue sfuriate: quasi dieci ore di audio diventate la prova di un inferno domestico. Quella sera, l’ennesima lite.

Poi, il gesto. Alex afferrò i coltelli della cucina, sei in tutto, e colpì. Trentaquattro volte. Subito dopo chiamò i carabinieri: «Ho ucciso mio padre». Da allora, la sua vita si è spostata dalle aule di scuola a quelle di giustizia. In primo grado, la Corte d’Assise di Torino lo assolse: legittima difesa. I giudici ritennero che avesse agito per salvare la madre da un pericolo imminente e reale. Ma la procura impugnò la sentenza. In appello, la Corte d’Assise d’Appello ribaltò tutto: condanna a sei anni e due mesi per omicidio volontario. Per i giudici di secondo grado, non fu una reazione necessaria ma una risposta sproporzionata, «più vicina all’istinto che alla difesa».
A difenderlo è l’avvocato Claudio Strata, che da anni segue il caso passo dopo passo, sostenendo la tesi della legittima difesa in un contesto di violenza familiare cronica. Domani la parola passa alla Cassazione. Da Roma dipende tutto: se confermare la condanna o restituire ad Alex la libertà piena.

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