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Il fatto

A processo Stanka, la ladra piromane. Nuove accuse dopo l’omicidio col fuoco

Detenuta al carcere delle Vallette, tornerà in aula: tutto inizia con un bicchiere colmo d’acqua...

A processo Stanka, la ladra piromane. Nuove accuse dopo l’omicidio col fuoco

Un bicchiere d’acqua. È da lì che sarebbe cominciato tutto. Dentro, secondo l’accusa, non vitamine come aveva raccontato, ma benzodiazepine. Sedativi forti. L’altra, una conoscente che si fidava di lei, li ha bevuti e si è addormentata. Quando si è svegliata, ore dopo, la casa era a soqquadro. Spariti pochi contanti, qualche monile, una collana in oro bianco. E l’amica, Stanka Batashka, non c’era più. È il 2023, i primi giorni di settembre. Otto giorni dopo, quella stessa donna – la “ladra gentile”, come la chiamavano gli investigatori – darà fuoco a un negozio di Monticello d’Alba, provocando la morte di Jie Hu, il commerciante cinese di 36 anni conosciuto come “Davide”. Per quel rogo, il tribunale di Asti l’ha già condannata a otto anni di reclusione. Oggi Batashka, 37 anni, bulgara, detenuta al Lorusso e Cutugno di Torino, è di nuovo davanti ai giudici. Stavolta a Cuneo, per rispondere della rapina di Scarnafigi: la “prova generale”, come la definiscono in procura, della spirale criminale che avrebbe poi portato alla tragedia di Monticello. Secondo gli inquirenti, la donna si muoveva con metodo. Creava un rapporto di fiducia, agiva con calma, poi somministrava la sostanza e colpiva. In questo caso, una cinquantina di euro, piccoli gioielli, oggetti di poco valore. Ma dietro il gesto, una freddezza che ha colpito anche gli investigatori: «Entrava sorridendo, ma sapeva già cosa fare. Sapeva anche quando dare fuoco», racconta chi l’ha seguita nelle indagini. Le analisi tossicologiche sulla vittima confermano la presenza di benzodiazepine in dosi compatibili con una somministrazione artificiale. Una traccia scientifica che rafforza la tesi della procura. Il processo è iniziato, lei non si presenta: rinuncia a comparire, segue dal carcere, difesa d’ufficio. Nessuna parola, nessun pentimento. Dietro di sé, una scia di furti e rapine tra l’Astigiano e l’Albese. Sempre lo stesso schema: entrare, drogare, rubare, e, quando serve, incendiare. Gli inquirenti di Asti l’avevano definita «una mente criminale lucida, priva di freni inibitori». Nessuna vendetta, nessun movente emotivo: solo calcolo. A Monticello, quel calcolo è diventato tragedia. Jie Hu morì soffocato dal fumo, non bruciato. L’autopsia lo confermò. «Lavorava dodici ore al giorno, non meritava di morire così», disse la moglie. Ora il tribunale di Cuneo cerca di chiudere il cerchio, ricostruendo il percorso di una donna capace di passare da una bugia gentile a un incendio mortale. La prossima udienza è fissata a dicembre. In aula, forse, parlerà la vittima della rapina, che si è costituita parte civile. Lei, invece, Stanka Batashka, resta in silenzio. Come sempre, da dietro le sbarre.

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