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Il caso

Moncalieri, il 15enne bullizzato ad Halloween: "non era la prima volta"

La madre racconta anche la violenza sessuale subita, denunciata solo giorni dopo l’aggressione

Moncalieri, il 15enne bullizzato ad Halloween: "non era la prima volta"

«Da quella notte mio figlio fa incubi continui. Sogna che qualcuno voglia fargli del male con un cacciavite. Rivive tutto. È un dolore che non si cancella». A parlare è la madre del 15enne bullizzato nella notte di Halloween da tre suoi coetanei. «Spero di passare un Natale sereno, lotto per lui ma non è facile», dice, raccontando che il ragazzo cerca di rassicurarla: «Mamma non ti preoccupare, faccio sogni belli». Racconta come tutto sia iniziato quella sera: suo figlio le aveva detto che sarebbe andato a dormire dal nonno. «Ero contraria, volevo che restasse con noi, ma alla fine l’ho lasciato andare. Solo dopo ho scoperto che non era mai arrivato. Se lo avessi saputo prima, con mio marito lo avremmo cercato ovunque. Non gli avrei mai permesso di passare quello che ha subito». La mattina seguente il ragazzo le risponde al telefono: «Mamma, sto arrivando, sono in metro». Lei chiede perché sia lì e lui spiega che deve raccontarle cosa è successo. Appena salito in macchina, la madre si accorge subito che qualcosa non va: cammina in modo strano, ha uno scaldacollo che non è suo. «Era senza sopracciglia, aveva un graffio vicino all’occhio, per fortuna non è rimasto cieco. I capelli rasati a ciuffi sparsi». Racconta che il figlio ha detto di essere stato preso con forza, portato in un appartamento a Torino, rasato, insultato, costretto a fare il bagno nel fiume a torso nudo, deriso e sputato addosso. Gli avevano sequestrato il cellulare, bloccato i numeri, impedendogli di chiedere aiuto. La violenza sessuale, spiega la madre, è stata raccontata solo la domenica successiva, quando sono tornati a denunciare. La donna respinge la versione di uno degli indagati secondo cui il ragazzo avrebbe potuto scappare. «Non poteva. L’hanno chiuso in bagno a chiave, la casa era serrata con una catena. Quando lo hanno portato fuori, era spaventato, non conosceva Torino e non sapeva dove andare. Io non lo avrei mai lasciato uscire di notte da solo». E ricorda con amarezza che la notte successiva i tre ragazzi sono andati in discoteca come se nulla fosse accaduto, senza preoccuparsi del figlio né della sua famiglia. «Dovevano sapere tutti della tortura vera che ha subito, non era la prima volta che succedeva. Non mi pento di aver denunciato pubblicamente, era giusto farlo».

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