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Il caso
16 Novembre 2025 - 06:00
Nella storia di Gianfranco Lanza, 57 anni, ragioniere di Pecetto Torinese e volto del marchio Aloe Ghignone, il nodo è tutto lì: i suoi prodotti “snelling”, presentati come supporto contro l’obesità, non curavano nulla. E quando una cliente — dopo aver speso oltre 33 mila euro in flaconi, creme, succhi e shampoo all’aloe — chiede il risarcimento stabilito dal tribunale, il naturopata si presenta come nullatenente. Un paradosso, secondo la procura di Torino, che lo accusa di aver spostato i proventi dell’attività su un conto corrente intestato alla sorella Manuela, sottraendoli alle pretese creditorie della donna. Per questo, i due sono stati rinviati a giudizio per mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice. In aula, non si sono presentati. C’era invece la cliente, che aspetta ancora i 18 mila euro fissati come risarcimento dopo la sentenza definitiva. La vicenda nasce più di dieci anni fa nella sede dell’Aloe Ghignone, a Pecetto. Lanza accoglie i clienti in camice bianco, presentandosi come dottore in naturopatia. Pubblicizza benefici terapeutici di ogni genere, anche per pazienti oncologici. La donna, convinta e fiduciosa, acquista i prodotti in grandi quantità: vuole dimagrire e provare a migliorare la salute del figlio, gravemente malato. Ma i risultati non arrivano. Le analisi confermano i dubbi: l’aloe nei flaconi è al 10%, non all’84% dichiarato; proviene dall’Italia, non dal Brasile. I Nas raccolgono gli elementi, parte la denuncia. Nel 2017, il tribunale condanna Lanza per truffa e frode alimentare; in appello la pena scende a tre mesi, la truffa è prescritta, ma resta la frode. E resta soprattutto il risarcimento. Che la donna tenta di ottenere in sede civile. Lì emergono gli elementi ritenuti “anomali”: l’attività continua, ma formalmente Lanza non ha nulla. I movimenti passano dal conto della sorella. Il tribunale civile decide che sarà lei a pagare: rate da 3.600 euro l’anno, fino al saldo previsto nel 2025. In parallelo, la procura ritiene che i fratelli abbiano “simulato” l’assetto economico per eludere il pagamento, motivo del nuovo processo. Intanto, i prodotti Aloe Ghignone restano in vendita. Senza più etichette “snelling”, ma con cartelli che, nella sede di Pecetto, richiamano i pazienti in chemioterapia. Online, il marchio precisa: “La salute non è in saldo”. E soprattutto: gli integratori non sostituiscono cure mediche.
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