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18 Settembre 2021 - 08:40
Con l’arrivo dell’autunno, torna in tavola la polenta. Questo piatto semplicissimo è stato la base dell’alimentazione padana per secoli, tanto da essere considerato un vero trait-d’union di tutta l’Italia del Nord, dalle Alpi all’Appennino. Anche se cucinata tradizionalmente anche in Sardegna, Toscana e Italia Centrale, è però la zona padano-alpina che ha fatto della polenta il vero principe della tavola. Con vantaggi e svantaggi: talvolta, per mancanza di mais, si sceglieva la segale comune, cereale molto resistente al freddo e coltivata anche in altura, ma non scevra dai pericoli derivati dall’ergotismo, dovuto all’uso in cucina della segale cornuta.
Anche l’alimentazione, basata sulla sola polenta, poteva essere povera e insufficiente, oltre che estremamente monotona: come condimento, si usavano spesso le economiche acciughe; l’aggiunta del formaggio, tipico dell’area alpina, ha permesso di variare l’apporto nutritivo della polenta rafforzando la costituzione della povera gente. La polenta concia, dunque, è stata una benedizione per chi non aveva davvero nient’altro da mettere sotto i denti. Questo alimento si cuoceva a fuoco lento, spesso in grossi paioli sospesi al centro di ampi camini o, in età più recente, sull’immancabile putagé. Chi ancora ne ha uno in casa non può fare a meno di preparare la polenta alla vecchia maniera, per rispolverare un sapore di passato rude. Anche se esistono farine di granoturco precotte, è sempre meglio cucinare la polenta senza “trucchetti” ma concedendole il tempo necessario.
In passato, il tempo di cottura della polenta si misurava in rosari; nei manuali di cucina era frequente ricorrere alle preghiere per indicare il tempo necessario per una determinata preparazione. Per la polenta, si consigliavano i rosari interi: in genere, tre rosari (misteri gaudiosi, dolorosi, gloriosi), equivalenti ad un’ora circa o anche più. Poiché era spesso prerogativa delle nonne, non era infrequente trovare le vecchiette accoccolate davanti al putagé sgranando le Ave Maria dei rosari. La tradizione culinaria andava dunque a braccetto con la tradizione della fede. Come molti piatti tradizionali, la lunga cottura generava anche un particolare odore, che si respirava in ogni angolo della casa: aroma di caminetto e di polenta, il compagno dei lunghi pomeriggi di autunno e inverno.
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