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«Condannato a morte dai talebani, vi dico: sono narcotrafficanti»

FarhadBitani
Sullo smartphone di Farhad Bitani, ex capitano dell ’esercito afghano e condannato a morte dai talebani, arriva una notifica, l’ennesima di una raffica ininterrotta con aggiornamenti da Kabul. Caduta da appena tre giorni nelle mani dei talebani. «Sta succedendo ancora» esclama, mentre dall’aeroporto della capitale arrivano le fotografie di madri disperate che passano i figli ai militari oltre il filo spinato.

Capitano Bitani, cosa prova? Che cosa ha pensato quando ha visto rientrare i talebani a Kabul?

«Mi si spezza il cuore, si riaccende la rabbia. Quando ho visto tornare i talebani a Kabul ho avuto la conferma che il Governo americano ci stava abbandonando, la riprova che hanno tradito la nostra fiducia. Quelle immagini sono la dimostrazione del tradimento. Siamo tornati indietro di venticinque anni, quando i talebani sono arrivati nel 1996»

Lo stesso mostro?

«Allora arrivarono con la motocicletta e il kalashnikov dei russi, oggi sono ritornati e prendono il potere con le armi americane»

Lei li ha conosciuti da vicino, non solo come ufficiale dell’esercito afghano. Chi sono i talebani e perché fanno così paura all’occidente?

«I talebani nascono nel 1994 grazie ai servizi segreti del Pakistan come un movimento studentesco e dall’anno successivo si trasformano in un movimento militare, prendono il potere con il mullah Omar, un leader sconosciuto e i cui fili erano tirati dal Pakistan. Quelli di oggi non sono molto differenti, ma con la religione e lo studio del Corano non c’entrano niente. Non c’entrano con Isis e Daesh, anzi, sono aperti nemici»

E chi è, invece, il vero nemico dell’Afghanistan?

«Il Pakistan. Se vogliamo combattere per l’Afghanistan è lì che bisogna guardare. I talebani sono nati con lo scopo politico di conquistare l’Afghanistan, fanno da sempre i soldi con le armi e la vendita della droga»

A lei di quegli anni vissuti sotto il mullah Omar cosa è rimasto?

«La violenza. Un veleno difficile da estirpare. Perché quando vivi e cresci in una società violenta finisce sempre che quella violenza ti resta dentro, fino a possederti e prendere il controllo»

E come ci si libera?

«Accogliendo i piccoli gesti umani che arrivano sempre dagli altri ma il più delle volte ignoriamo. La violenza nel mio corpo è rimasta, quella che ho subito è diventata stimolo per cambiare il presente. Mi ha rafforzato la pelle»

Lei è stato condannato a morte con una “fatwa” quando era militare. Oggi che si occupa di pace la paura le è rimasta?

«Ora dobbiamo lottare con la testimonianza e non con le armi. Ciò che non è stato fatto negli ultimi vent’anni. Adesso i talebani sono molto potenti, ma sul piano pratico non contano niente. I loro padroni sono Russia, Cina e Paskistan. Ed è con questi Paesi che ci si dovrà confrontare. I talebani sono soltanto delle pedine di un gioco, sempre lo stesso»

Pensa davvero che il destino dell’Afghanistan sia quello di un emirato islamico?

«No. La religione in questo caso non c’entra davvero niente, anche se l’applicazione della sharia è la prima cosa che salta all’occhio. I talebani sono “studenti” per definizione ma non studiano proprio niente. Negli ultimi 35 anni l’Afghanistan è stato un paese in guerra, che non ha mai risolto i propri problemi, specie quello di tenere separate politica e religione. C’è un unico interesse sull’Afghanistan ed è politico, quello del Pakistan. Posso, invece, farle un esempio per dimostrarle che posto occupi l’Islam in tutto questo?»

Prego...

«Noi afghani parliamo due lingue diverse - dari e pashtu - ma se al 99% degli afghani mettiamo davanti il Corano, questi, non capirebbero una parola. Quello dei talebani è soltanto un lavaggio del cervello»

E in questi vent’anni nessuno è riuscito a interromperlo?

«Il più grande fallimento è stato non aver dato vita a un vero progetto culturale, perdendo così intere generazioni. L’interesse è stato militare ed economico, si sono costruite caserme e non scuole»

E ora cos’è rimasto?

«Niente. Perché, ripeto, in questi vent’anni nessuno ha pensato che il problema fosse educativo, sono state occupate le città più grandi come Herat e Kabul, ma l’80 % dell’Afghanistan è stato abbandonato a se stesso. Questo ha lasciato campo libero ai talebani, mentre cresceva a dismisura la corruzione. Ora i “corridoi umanitari” ma che senso hanno?»

Provi a dirlo lei. Pensa che sia l’unico rimedio possibile?

«No. Perché negli ultimi vent’anni non abbiamo fatto studiare i giovani afghani all’estero, magari creando dei “ponti” con le università occidentali? Ora l’occidente si straccia le vesti per accoglierli, tutti si scoprono “umani”. Ma chi può accogliere, oggi, 35 milioni di afghani? E integrarli come? Fossero anche mezzo milione, che prospettive gli si darebbero? Quelle per cui, fra altri vent’anni, gli si dirà che hanno portato solo problemi e nulla di buono?»

Solidarietà ipocrita?

«L’Italia sarebbe in grado di integrarli? I “buonisti” di oggi saranno i primi a condannare»

E ora l’Afghanistan a chi resta?

«Ai terroristi, ai trafficanti di armi e di droga. Come nell’interesse del Pakistan».
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