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21 Agosto 2022 - 07:35
Le cassette delle offerte praticamente vuote e un aumento costante delle richieste d’aiuto, a cui le parrocchie faticano a dare risposte se non attingendo spesso a risorse proprie. Dalla periferia ai quartieri benestanti del centro, la crisi è un lungo filo rosso che, da ben prima della pandemia, si dipana per tutta la città e per cui oggi a bussare alle porte della Caritas sono anche giovani professionisti in difficoltà, commercianti strozzati dalle spese e migliaia di anziani ai quali la pensione non basta nemmeno più a portare il cibo in tavola. «E da settembre andrà anche molto peggio».
LIBERI PROFESSIONISTI IN CRISI «La crisi economica si è fatta sentire anche in una parrocchia come la nostra, nel centro di Torino: arrivando a toccare anche quelle famiglie “nobili” che magari hanno sempre abitato tra via Po e piazza Vittorio Veneto ma, nel frattempo, hanno visto venir meno le pensioni dei nonni o gli stipendi dei genitori. Per questo, oggi, non hanno quel “di più” da donare. Certo è che se è diminuito il contributo materiale, non è venuta meno la voglia di aiutare gli altri e mettersi a disposizione» spiega Piero Leonardi, responsabile economico della parrocchia Santissima Annunziata. La quale ha potuto contare, nell’ultimo anno, su 5mila euro di 8x1000, circa 1.800 euro dalla comunità e una donazione straordinaria di 2.500 euro che ha permesso di salvare i conti. Le uscite, infatti, fanno chiudere a malapena il bilancio senza perdite enormi dal momento che sono stati spesi attorno ai 6mila euro per l’emergenza abitativa e altri 3mila euro per coprire utenze domestiche, spese mediche e parafarmaci di famiglie in grossa difficoltà. «Però temiamo che andrà peggio in autunno: colpa del rincaro dei costi energetici e di gestione, per cui ci troviamo a dover aiutare sempre più persone che non rientrano nella definizione “tradizionale” di povero. Sono le nuove povertà, quelle dei liberi professionisti o anche dei commercianti messi in ginocchio da una crisi ormai permanente». Anche per questo la filosofia della parrocchia è sempre più “evangelica” in questo senso, capovolgendo un po’ il senso tradizionale dell’elemosina per come viene inteso. «Non conta tanto poter disporre di un “surplus” da donare agli altri perché ci avanza e non ne facciamo nulla ma saper offrire qualcosa di noi a cui possiamo rinunciare in qualche modo, sapendo di poterlo donare a chi ha più bisogno in questo momento».
PERIFERIE AL LIMITE DEL COLLASSO Dove il confine tra la sopravvivenza e la sussistenza diventa sempre più labile, in periferia, ci si inventano forme nuove di restituzione. «Ormai quella delle offerte e dei contributi spontanei è una cosa a cui siamo abituati, anche perché a differenza di un tempo vengono sempre meno famiglie a messa» racconta Angelo Zucchi, sacerdote della San Giuseppe Cafasso. «Cerchiamo di investire su qualche forma di restituzione e reciprocità, perché è l’unico modo di creare un meccanismo virtuoso che vada oltre la semplice richiesta o offerta di un bene materiale» spiega Zucchi. «Altrimenti potremmo contare solo più sui contributi straordinari di qualche imprenditore “illuminato” ma sono sempre meno».
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