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Economia
12 Maggio 2025 - 08:25
Soldi
Nel cuore scintillante di Milano, tra i grattacieli di CityLife abitati da banchieri e calciatori, prende forma un dibattito che scuote i salotti della finanza e dell’economia globale: è giusto tassare di più gli ultraricchi? Per alcuni, come la manager Giorgiana Notarbartolo di Villarosa, la risposta è un sì deciso: «Tassateci di più», dice senza esitazioni. Per altri, come lo stilista Philipp Plein, le imposte sopra il 30% diventano punitive e minacciano la crescita.
La discussione non è nuova, ma si rinnova con forza alla luce delle crescenti disuguaglianze. Oggi, secondo i dati di Oxfam, lo 0,1% più ricco degli italiani – circa 50mila persone – detiene il 9% della ricchezza nazionale. Solo venticinque anni fa ne possedeva meno della metà. A fronte di questo, molti super-ricchi pagano in proporzione meno tasse rispetto ai cittadini comuni. Il motivo? I loro redditi derivano per lo più da capitali e dividendi, tassati meno del lavoro.
A farsi portavoce del cambiamento sono proprio alcuni miliardari. I “Patriotic Millionaires” – oltre 370 firmatari da 22 Paesi – chiedono una tassa globale minima del 2% sui patrimoni superiori ai dieci milioni di dollari. Un prelievo che, secondo l’economista Gabriel Zucman, eviterebbe la concorrenza fiscale tra Stati e renderebbe il sistema più equo. «Non si può cambiare ciò che non si nomina – sostiene Notarbartolo – così come esiste una soglia di povertà, serve una soglia per la ricchezza estrema».
Philipp Plein, tedesco trapiantato in Svizzera, è l’esempio di chi la ricchezza l’ha costruita da sé. «In Germania, le tasse erano così alte che diventava quasi uno sport cercare modi legali per evitarle», racconta. La sua opinione è chiara: una tassazione tra il 20% e il 30% è sostenibile, ma andare oltre significa punire il merito. «Il sistema fiscale deve incentivare la crescita, non soffocarla».
Anche Nicola Rossi, economista vicino al pensiero liberale, contesta l’aumento delle disuguaglianze. Analizzando l’indice di Gini – un parametro che misura la disparità nei redditi – afferma che i dati italiani non mostrano un peggioramento drastico rispetto ad altri Paesi europei.
Il dibattito, però, va oltre le percentuali. Al centro c’è una questione etica e sociale: cosa rende possibile l’accumulo dei patrimoni? Per Notarbartolo, le fortune individuali nascono anche grazie ai servizi e alle infrastrutture finanziate da tutti i cittadini. Sanità, istruzione, trasporti: senza questi pilastri comuni, anche il talento rischia di rimanere sterile.
D’altro canto, Rossi ribatte che la redistribuzione efficace non si ottiene solo con le tasse, ma con una spesa pubblica mirata e ben gestita. In questa cornice, la fiducia nelle istituzioni diventa centrale: se i cittadini non vedono benefici tangibili, aumenta la sfiducia e la tentazione di seguire derive populiste o identitarie.
Il punto di equilibrio sembra lontano. Da un lato, c’è chi chiede giustizia fiscale per riequilibrare un sistema che sembra favorire l’élite. Dall’altro, chi teme che le imposte eccessive disincentivino il lavoro e l’innovazione.
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