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Meloni cita Draghi agli industriali, ma in Europa difende Orbán: il doppio binario della premier

L’Italia si sfila dalla condanna Ue alla legge anti-Pride ungherese. E mentre Meloni si rifà al linguaggio dell’ex premier per rassicurare Confindustria, continua a coprire l’alleato di Putin a Bruxelles

Meloni cita Draghi agli industriali, ma in Europa difende Orbán: il doppio binario della premier

In un'abile operazione retorica, Giorgia Meloni ha citato Mario Draghi durante il suo intervento davanti alla platea di Confindustria, invocando la necessità che l’Unione europea elimini «i dazi interni che si è autoimposta negli anni». Un’espressione apparentemente tecnica, ma che in realtà serve a spostare l’attenzione dal problema dei dazi americani voluti da Donald Trump – con cui Meloni condivide visione e riferimenti – per rigirare l’accusa all’Europa, mascherandosi dietro l’autorevolezza dell’ex presidente della BCE.

Una strategia collaudata. Da tempo, la leader di Fratelli d’Italia riesce a posizionarsi nel dibattito europeo con una retorica che sembra conciliante, senza però mai rompere i legami con la destra sovranista. Alcuni l’hanno addirittura definita “draghiana”, ignorando le contraddizioni che puntualmente riemergono.

Una di queste è esplosa nuovamente in Europa: l’Italia, infatti, si è rifiutata di firmare un documento sottoscritto da venti paesi membri dell’Unione che condanna la nuova legge ungherese contro il Pride. Insieme a noi si sono defilate Bulgaria, Croazia, Romania e Slovacchia. La Polonia, presidenza di turno, non ha firmato per prassi.

Il messaggio è chiaro: a Bruxelles, Meloni continua a proteggere Viktor Orbán, nonostante il premier ungherese rappresenti il principale alleato di Vladimir Putin nell’Unione. Un leader che ostacola sistematicamente gli aiuti all’Ucraina e il regime di sanzioni contro la Russia.

Ma la legge anti-Pride non è nemmeno il punto più critico. A destare preoccupazione è ora un disegno di legge sulla “trasparenza della vita pubblica”, che ricalca fedelmente una normativa russa: darebbe al governo ungherese il potere di bloccare i finanziamenti a qualsiasi organizzazione ritenuta “ostile”, comprese quelle politiche. Un passo concreto verso la trasformazione dell’Ungheria in un regime illiberale, nel cuore dell’Europa.

E qui le parole non bastano più. Se Meloni è sincera nella sua posizione a favore dell’Ucraina e contro l’imperialismo russo, allora difendere Orbán diventa insostenibile. Eppure, proprio questa è la contraddizione che il suo governo continua a scegliere.

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