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02 Luglio 2025 - 08:30
Il presidente di Confindustria, Emanuele Orsini
L’Europa cerca di minimizzare i dazi imposti dagli Stati Uniti, ma secondo il presidente di Confindustria, Emanuele Orsini, il pericolo è tutt’altro che trascurabile. Altro che 10%: tra tariffe e svalutazione del dollaro, l’impatto reale per le imprese italiane arriva al 23,5%.
“Un prodotto venduto l’anno scorso a 100 dollari oggi costa 123 al cliente americano”, denuncia Orsini. Se i dazi entreranno in vigore dal 9 luglio, le conseguenze potrebbero essere devastanti: “Nel 2026 rischiamo di perdere 20 miliardi di export e 118 mila posti di lavoro”. Colpite sarebbero soprattutto le filiere di macchinari, mezzi di trasporto e pelletteria.
Sul fronte diplomatico, Orsini suggerisce di far leva sugli squilibri nei servizi commerciali a favore degli USA e sugli investimenti europei nella Difesa, per negoziare condizioni più favorevoli. E apre alla possibilità di usare la leva fiscale: “Togliere la minimum tax può essere un segnale di apertura, visto che Cina, India e Stati Uniti non l’adottano”.
L’automotive è già penalizzato da tariffe del 25% e da politiche europee che, secondo Orsini, hanno indebolito il settore: “Lo stop ai motori endotermici e le sanzioni rinviate non bastano, serve proteggere una filiera che dà lavoro a 70 mila persone”.
Per evitare una spirale di ritorsioni commerciali, Orsini propone un approccio strategico: niente dazi in risposta ad altri dazi, ma incentivi per una politica commerciale più equilibrata. E punta sull’espansione in Sud America: “Chiudere l’accordo con il Mercosur porterebbe fino a 7 miliardi di export aggiuntivo”.
L’allarme arriva anche sul fronte energetico e ambientale. Orsini chiede interventi urgenti per ridurre i costi dell’energia e avverte Bruxelles: “Decarbonizzare è necessario, ma non si costruisca il bilancio europeo sulla pelle delle imprese con tasse occulte come Ets e Cbam”.
Infine, sul caso Ilva, l’industria italiana non può permettersi incertezze: “Serve subito il via libera alle autorizzazioni ambientali e un piano di rilancio efficiente. Che lo faccia lo Stato o un privato, l’importante è tornare alla piena operatività”.
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