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Il caso
13 Settembre 2025 - 12:10
La catena produttiva è in affanno, e i dati parlano chiaro: al ministero delle Imprese risultano aperti 67 tavoli di crisi - 37 attivi e 30 in monitoraggio - mentre da oltre due anni la produzione segna un calo costante. La situazione più delicata resta quella dello stabilimento Stellantis di Atessa, cuore della produzione di veicoli commerciali del gruppo. Qui oltre 600 dipendenti - circa il 12% della forza lavoro - hanno chiesto l’uscita incentivata tramite procedura di separation, un numero ben oltre le 402 posizioni concordate a giugno tra azienda e sindacati. «È l’effetto incertezza che si sta vivendo in questo momento», commenta Nicola Manzi, coordinatore Uilm Abruzzo, definendo i dati «un segnale chiaro del clima di instabilità che pesa sull’automotive italiano».
Mentre cresce l’incertezza in Italia, Stellantis continua a concentrarsi sull’estero con l'investimento da 1,2 miliardi di euro a Kenitra, in Marocco, per aumentare la capacità produttiva dello stabilimento da 200 mila a 535 mila unità entro il 2030. Una mossa che continua a rafforzare la presenza internazionale del gruppo, ma che ha alimentato timori e polemiche sul futuro delle fabbriche italiane, dove la produzione ha raggiunto minimi storici.
Secondo Fiom-Cgil, il 62,3% dei dipendenti Stellantis - oltre 20 mila su 32 mila - è oggi coperto da ammortizzatori sociali. Una quota che testimonia il rallentamento strutturale della produzione, aggravato dalle difficoltà di siti come Termoli, legato al progetto di Gigafactory mai concretizzato. Lì tutti i 1.823 addetti resteranno in cassa integrazione fino al 31 agosto 2026, insieme a migliaia di lavoratori di Mirafiori e Pomigliano.
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