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Economia
23 Settembre 2025 - 23:30
Ogni volta che si acquista uno smartphone, un computer, una chiavetta USB o qualsiasi altro dispositivo dotato di memoria, nel prezzo è già compresa la cosiddetta tassa sull’equo compenso per copia privata, che confluisce nelle casse della SIAE. Introdotta nel 1992 e riformata nel 2003, la misura è pensata per remunerare autori e industria culturale, ma oggi torna al centro delle polemiche: il Ministero della Cultura ha infatti avanzato una proposta di aumento del 40%.
La novità, che scatterebbe su tutti i dispositivi elettronici e persino sui servizi cloud, rischia di avere un impatto significativo sui prezzi finali. L’Italia applica già tariffe più alte rispetto ad altri Paesi Ue: una chiavetta USB da 256 GB, ad esempio, costa 8,76 euro di tassa, contro i 4 euro della Francia, i 24 centesimi della Spagna o i 30 centesimi della Germania. Differenze ancora più marcate si registrano sugli hard disk, con 20 euro in Italia contro i 6,45 della Spagna e meno di 1 euro nei Paesi Bassi.
A contestare duramente la proposta è l’ASMI, l’associazione che rappresenta i produttori di supporti e sistemi multimediali. Secondo l’organizzazione, un rincaro di questa entità rischierebbe di mettere in crisi il mercato, soprattutto perché colpirebbe anche i dispositivi rigenerati, con il paradosso di pagare due volte la stessa tassa.
Altro nodo cruciale riguarda la concorrenza con l’estero: aggirare il balzello è facile, basta acquistare tramite e-commerce con sede fuori dai confini italiani. Un rischio che, secondo le associazioni, penalizzerebbe i venditori nazionali e incoraggerebbe le importazioni parallele.
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