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IL BORGHESE
08 Aprile 2023 - 15:06
Le parole e i fatti. Mentre la politica si interroga sull’emergenza siccità, istituisce la figura di un commissario straordinario ad acta e immagina addirittura l’adozione di dissalatori sulle nostre coste dimenticando che sarebbe più opportuno riparare gli acquedotti che disperdono fino al 40% di quanto trasportano, c’è chi non chiacchiera ma lavora. Cominciando dal basso, come è costume nel mondo contadino, e scava i pozzi per raggiungere le falde sotterranee.
Capita a Torino, o meglio in molti paesi della cintura dove si riparano i vecchi impianti dimenticati da decenni e se ne scavano di nuovi per garantire acqua alla città. Un piano adottato quasi in sordina dalla Smat che sui pozzi ha stanziato una quarantina di milioni di euro ma ha in tasca un progetto ben più poderoso per l’approvvigionamento idrico del futuro: in soldoni una diga che potrebbe sorgere nella valle di Viù.
A dire la verità di nuovo c’è poco, visto che di quest’opera si parla da oltre 40 anni tra proposte utili e polemiche sterili di chi non vuole sentire parlare di grandi invasi e soprattutto di dighe. Insomma i soliti signor No che sono contrari a prescindere come il Tav ci ha insegnato. Vedremo che cosa accadrà ma intanto, tornando ai pozzi e ai piccoli invasi ci sembra di tornare all’antico, alla saggezza contadina che insegnava il risparmio e il rispetto della natura.
Una lezione che adesso la siccità ha fatto tornare di attualità, dopo anni di sprechi e di sonnolenza istituzionale. Qualcuno purtroppo dirà che si tratta di palliativi e continuerà a invocare strategie nazionali scomodando anche il Pnrr e soprattutto i quattrini che ne possono discendere. Peccato che l’approvvigionamento idrico non possa aspettare. E quei pozzi, opere di grande buon senso sono la prova che qualcosa si può fare, senza dover ricorrere alla danza della pioggia.
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