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A tu per tu
13 Marzo 2025 - 06:00
Sergio Cerruti
Di tutta questa storia legata al Festival di Sanremo, il giallo televisivo più intricato degli ultimi anni, c’è solo una cosa certa, ovvero, il coraggio con il quale Sergio Cerruti, discografico romano, classe 1975, fondatore della Just Entertainment, ha iniziato nel 2021 la sua battaglia contro un sistema, a quanto pare, poco chiaro. È lui l’uomo del momento, l’uomo che, suo malgrado, ma forse neanche poi tanto, si trova oggi nell’occhio del ciclone per un caso che da mediatico sta assumendo toni politici.
«Mi trovo in un frullatore, mi scusi se l’ho dovuta fare aspettare ma le riunioni con gli avvocati si susseguono - spiega dal suo ufficio milanese - e a volte durano delle ore. Tutta questa situazione ha colto di sorpresa anche me, nonostante sia stato io a provocarla».
(Si riferisce ovviamente al ricorso al Tar, vinto, e alla sentenza che dichiara irregolare l’affidamento diretto del Festival alla Rai da parte del Comune di Sanremo)
Ricapitolando, quando è iniziato tutto?
«Nel 2021, mentre ricoprivo il ruolo di presidente dell’Afi (Associazione italiana fonografi, ndr) e, voglio che sia chiaro, che non ho iniziato questo percorso per scalare in maniera ostile il Festival di Sanremo con la mia Just Entertainment, ma perché mi sono accorto di gravi anomalie mentre ricoprivo una carica di responsabilità. E c’è di più, le anomalie non riguardano solo il rapporto Comune di Sanremo e Rai, ma anche i voti, l’ordine di uscita dei cantanti, le sfide tra i giovani. E c’è dell’altro…».
Ci spieghi…
«La Rai deve soldi ai discografici per i diritti, tanti, ha mai sentito parlare della “causa Vessicchio?” Sa perché lui se n’è andato? Ma questa è un’altra storia…»
Adesso a che punto siamo? Il Festival potrebbe davvero traslocare a Torino?
«La situazione si è complicata, non credevo si arrivasse a questo punto. Io sarei cauto. Esprimo tutto il mio amore e la mia stima per Torino che in realtà può produrre rassegne importanti anche diverse da Sanremo. L’atteggiamento della Rai fa sembrare Torino di serie B tipo: “Non ci fate fare il Festival? Bene noi andiamo da un’altra parte”, fossi nel sindaco Lo Russo mi sentirei offeso. Non è così, Sanremo è di Sanremo se deve morire, morirà a Sanremo, penso. Inoltre, non ho sentito nessuno dei vertici Rai parlare ufficialmente di Torino, tanto meno lo ha fatto Mazza, presidente dei discografici».
E quindi?
«Tutto può accadere, la situazione è molto calda, si capirà meglio dopo il 22 maggio quando il Consiglio di Stato si pronuncerà contro il ricorso della Rai alla sentenza».
E se Viale Mazzini perdesse?
«Dovrebbe partecipare al bando in fretta e furia e, contando, che a ottobre inizia Sanremo Giovani, direi che sarebbe un po’ tardi. Altro che Torino o Sanremo, la rassegna potrebbe anche saltare un giro».
A cose fatte, però, il bando potrebbe davvero essere vinto da un’altra televisione?
«Certo, però bisogna fare chiarezza. Sanremo può essere prodotto da una produzione e trasmessa da una tv in chiaro, qualsiasi. Se sto pensando a Warner? Non credo è americana, Sanremo è un vanto italiano».
Quindi o Rai o…
«Sì, Mediaset potrebbe trasmetterla perché no?».
E lei con la sua JE produrrebbe il Festival?
«Certo. Ho solo 14 dipendenti obiettano in molti, ma che significa, so a chi affidarmi, basta appoggiarsi ai service giusti».
Quindi c’è un fondo di verità in quello che si dice?
«No, la mia denuncia nasce dalla volontà di far fare le cose giuste. Ci devono essere delle regole, le stesse che si seguono nei grandi campionati di calcio».
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