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Il caso
16 Marzo 2025 - 13:15
Foto di repertorio
Secondo la Corte dei Conti, quelle strade erano "vicinali" e non comunali. Quindi non andavano asfaltate con soldi pubblici: da qui l'accusa di danno erariale a sindaco, assessori e tecnici che hanno dato il via al cantiere. E che, alla fine, ci hanno rimesso di tasca loro: «Abbiamo scelto di risolvere questa situazione con un accordo per evitare lunghe e costose battaglie legali» commentano ora gli amministratori sotto accusa.
Il paese in questione è Casalborgone, neanche 2mila anime ai confini della provincia di Torino (verso l'Astigiano). Ma ha 65 chilometri di strade asfaltate su 20 chilometri quadrati di territorio collinare, di «una complessità e una fragilità tali da richiedere una costante manutenzione per garantire la sicurezza dei cittadini».
Per questo, nel 2019 e 2020, la Giunta guidata da Francesco Cavallero aveva approvato un investimento da 100mila euro su dieci strade (su proposta dell’Ufficio tecnico e supervisione del segretario comunale). Fra queste c'erano le strade Balestra, Prin e San Rocco, poi finite nel mirino della Procura della Corte dei Conti: i magistrati contabili, chiamati a verificare la correttezza delle spese effettuate dagli enti pubblici, hanno rilevato che i terreni di quelle vie non sono mai stati acquisiti al demanio pubblico. Nonostante le strade in sé fossero state dichiarate comunali o comunque di pubblica utilità da precedenti delibere. Senza contare che due su tre erano già state asfaltate altre volte: «E per la terza, strada San Rocco, si è trattato di un fondamentale intervento di messa in sicurezza con sostituzione del fondo in ghiaia con asfalto in prossimità di un incrocio viario, anche a seguito di un ultimo grave incidente occorso a due motociclisti» puntualizzano ancora dal Comune.
La Procura ha accusato quindi sindaco, assessori e tecnici di un danno erariale di circa 33mila euro, chiedendo che risarcissero l'ente pubblico. E così è stato: Cavallero, il suo vice Fabrizio Conrado, l'assessore Romina Dalozzo e uno dei funzionari hanno deciso di proporre un patteggiamento alla Corte. Un altro tecnico, invece, andrà a giudizio: «Siamo fiduciosi che riuscirà ad ottenere ragione - commentano gli amministratori di Casalborgone - Noi abbiamo fatto una scelta diversa non perché non ci credessimo, ma perché abbiamo ritenuto più opportuno evitare un possibile maxi-rimborso a carico del Comune. Era quindi necessario cercare di chiudere la vicenda il prima possibile». E hanno anche risparmiato, come previsto dalla legge per i riti alternativi: alla fine i quattro accusati hanno pagato 1.835 euro di tasca loro, pari al 35% delle somme contestate e senza spese legali da rimborsare.
«La nostra priorità sarà sempre la sicurezza e il benessere dei cittadini di Casalborgone - concludono Cavallero, Conrado e Dalozzo - Riteniamo che questa decisione sia la più responsabile e la più vicina all'interesse della comunità. Però questa vicenda pone sicuramente molti interrogativi per il futuro perché è una condizione - quella del sedime non di proprietà - comune a tutti gli enti locali italiani».
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