Ehilà, ieri mattina ci voleva un’ora per entrare nei musei tanta era la gente in coda. E nei parchi, al Valentino soprattutto, si muoveva compatto un intero campionario di famigliole, runner, ciclisti con pargoli al seguito biciclettati pure loro, anziani con il cagnolino al guinzaglio. E i bar? C’era la coda pure lì, in via Po e in piazza Vittorio per un caffè o un cappuccino e brioche. Ma non solo: sono stati avvistati i primi turisti, francesi per la maggior parte, anche sotto la Mole, in attesa che si dipanasse la fila per salire lassù dove si guarda Torino. Insomma il 2 giugno ci ha portato il primo brivido di normalità con immagini che sembrano tratte dall’album dei ricordi. Normalità, quello di cui abbiamo bisogno per cominciare a scrollarci di dosso l’incubo del Covid, la paura del contagio con tutto quello che la storia di questi ultimi quindici mesi ci ha insegnato. Peccato che nessuno almeno in queste ultime settimane abbia pensato di dare una bella ripulita al nostro salotto buono, ai portici, alle nostre formidabili piazze. A quel centro, intendo, che abbiamo sempre decantato come un’eredità della cortesia sabauda. Così anche ieri chi ha scelto Torino per una visita anche breve, si è trovato a fare lo slalom tra gli accampamenti dei senzatetto e una gamma vastissima di professionisti dell’elemosina, molti - purtroppo - con cagnolini al seguito così rassegnati e immobili da sembrare morti. Ma la vergogna più evidente a chi voleva godersi la passeggiata e gettava un occhio sui marmi dei marciapiedi, le colonne o i sampietrini, era la sporcizia, le macchie nere, quegli aloni che indicano la mancanza di una bella pulizia con acqua e sapone. Un peccato per una città che vuole essere ospitale e degna di attrarre un turismo di qualità. Ma che traccheggia con olio di gomito e stenta a tagliare l’erba e a potare i nostri alberi che poi sono quelli che offrono una pennellata di colore alle nostre strade.
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