Spari in pieno giorno, nastri bianchi e rossi a circoscrivere le macchie di sangue là dove fino a qualche minuto prima delle undici era disteso il corpo di un uomo. Attorno i lampeggianti che illuminano il grigio di una delle prime giornate autunnali. Proiettili conficcati nell’asfalto. E sui marciapiedi gente attonita e passanti frettolosi. Una cartolina di Torino, il giorno dopo il voto per le comunali. Siamo in periferia, tra corso Venezia e via Saorgio, ai limitari di Borgo Vittoria e di quella Barriera che hanno disertato le urne ma ogni giorno gridano le loro paure e la rabbia di chi si sente emarginato. Non vi sembri strano l’accostamento di un regolamento di conti per strada e l’astensionismo che di fatto ha segnato queste elezioni. E non giudichiamo a priori questa rinuncia ad esprimere una preferenza per il prossimo sindaco, come un semplice atto di menefreghismo. Quello del neonato partito del “io non voto” è uno schiaffo alla politica degli annunci, delle passerelle e delle promesse mai mantenute. Qui si vive male tra palazzoni in degrado, frigoriferi svuotati dalla perdita del lavoro, malavita arrogante, spaccio, prostituzione. E ancora strade a pezzi e giardini sporchi e vandalizzati. Una mattinata, anche solo poche ore vissute lì, possono far comprendere molte cose. Anche che in questi quartieri oltre i problemi le risorse ci sono, e anche le idee. Solo che nessuno ascolta e nessuna agisce tra quelli che siedono sulle storiche poltrone della Sala Rossa. Dunque mentre si fa già la conta di chi se le accaparrerà se vince Lo Russo o Damilano, qualcosa andrebbe fatto per il bene di Torino: recuperare la forza del dialogo, cogliere le richieste e le proposte ricucendo un filo che la politica ha spezzato, anche solo parlando con la gente. E non solo con qualche santino in mano, tra le poche bancarelle del mercato con la promessa facile di un futuro migliore.
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