Con quale faccia Putin impone di fatto a Macron di sospendere le sanzioni e soprattutto l’invio di materiale bellico all’Ucraina, per avere anche solo una speranza di pace, se poi a 35 chilometri dall’Europa gioca alla guerra nucleare? O peggio, simula il lancio di missili con testate atomiche da una base sul Mar Baltico. La storia ci insegna, rileggendo il passato, che è bastato molto meno a dare fuoco alle polveri di guerre sanguinose. Ma lo zar sembra giocare al gatto con il topo (relegando l’Europa e la Nato al ruolo del roditore) alternando minacce di conflitto totale prima con il lancio di un missile transcontinentale a lunghissima gittata (oltre 10mila chilometri) che potrebbe racchiudere un ordigno di distruzione di massa, e poi dando vita ad una vera e propria esercitazione militare a due passi dai nostri confini. C’è chi giustifica l’azione come una prova muscolare all’indirizzo dei sui sudditi nella vigilia della grande parata del 9 maggio, chi invece continua a sostenere che le intenzioni dei russi siano quelle di un attacco in forza all’Ucraina con le conseguenza che tutti possiamo immaginare. Venendo alla cronaca dei fatti, mercoledì pomeriggio, l’esercito russo ha simulato il lancio di missili nucleari da Kaliningrad, un’enclave occidentale sul Mar Baltico situata tra Polonia e Lituania. Non un’operazione segreta come si immagina possa avvenire quando si sperimentano azioni militari di alto profilo, ma una sorta di show per il mondo occidentale, accompagnato dal commento del ministero della Difesa russo teso a sottolineare come le unità di combattimento impiegate abbiano anche effettuato «operazioni in condizioni di radiazioni e contaminazione chimica». Ma non solo: pare accertato che l’esercitazione fosse in programma da tempo, e rientrasse in una delle fasi previste dal sistema difensivo di allerta delle forze nucleari, deciso da Vladimir Putin pochi giorni dopo l’inizio dell’«Operazione militare speciale». E ne conosciamo persino la data: era il 27 febbraio quando il presidente Putin fece convocare al Cremlino il ministro della Difesa Sergey Shoigu e il Capo di Stato maggiore Valerij Gerasimov (gli altri due uomini, oltre a lui, che possiedono i codici della valigetta nucleare) ordinando lo stato d’allerta. Il primo passo verso l’organizzazione dell’esercitazione che ha coinvolto più di cento militari russi super specializzati che hanno simulato diversi lanci di missili nucleari in situazione di attacco contro obiettivi diversi, imitando situazioni di guerra contro aeroporti, infrastrutture difensive, e basi militari nemiche. Tutto questo mentre sulla martoriata Ucraina continuavano i bombardamenti con armi convenzionali e con bombe a grappolo su diverse città e villaggi. Intanto si sgrana il rosario delle atrocità sull’acciaieria Azovstal di Mariupol, interrotto soltanto per i corridoi umanitari - come fa sapere il Cremlino - per mettere in salvo i civili che si erano rifugiati nell’enorme complesso siderurgico dopo i primi attacchi alla città, ponendosi sotto la protezione del battaglione Azov. Una tregua parziale di tre giorni che lascia presagire il peggio.
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