Smaltita la sbornia di Eurovision e del Salone, messi in credenza i calici dopo i brindisi per il passaggio del Giro, Torino si risveglia con nuove energie e con la consapevolezza di essere diventata un po’ più grande. Il maggio degli eventi internazionali ha dimostrato che l’ex Capitale dell’auto può guardare al futuro con un po’ più di ottimismo. Senza dimenticare che non si vive di sola cultura, certo. Ma con la consapevolezza di avere tanto da dire, e moltissimo da ricevere in cambio, se saprà sfruttare al meglio il risalto che ha avuto a livello globale negli ultimi giorni grazie alla cultura e all’arte. E qui si inserisce l’idea del professor Giorgio Gagna, chirurgo e Presidente della Fondazione che conserva le opere e promuove il pensiero di Romano Gazzera, il pittore del “fiori giganti”. Con la proposta di una cabina di regia che, attraverso un lavoro di coordinamento e comunicazione, «promuova Torino come Capitale dell’Arte d’Italia». Un’idea ambiziosa come tutte quelle che richiedono di mettere da parte interessi personali per il bene pubblico. «Ma necessaria – secondo Gagna -, e pure urgente». Torino, ragiona il professore, «è stata troppo oscurata dalla passata amministrazione comunale con la sciagurata e folle “decrescita felice”». Dimenticandosi di essere la «ex Capitale d’Italia, con le meraviglie dei Musei Reali, l’unicità del Museo Egizio, le splendide sale di Palazzo Carignano che racchiude il Museo del Risorgimento, il Museo del Cinema nella Mole Antonelliana, la Galleria dell’Accademia Albertina, il Museo dell’Automobile, la Gam, il Mao, la Fondazione Accorsi-Ometto, le Tombe dei Savoia a Superga, la Villa della Regina, il Borgo Medioevale, il Catello di Venaria, quelli di Stupinigi e di Rivoli, senza dimenticare il Duomo che conserva la Sacra Sindone». Un patrimonio unico. E una città che, «supportata dagli sforzi delle Fondazioni, deve ritornare a essere splendida e straordinaria Capitale d’Italia, ma dell’arte, e non solo dell’arte povera». Come? «Con una vera e grande comunicazione internazionale da parte della città, che dopo anni di silenzi torni a promuovere se stessa, con una cabina di regia, un comitato in cui si confronti il meglio della nostra cultura, magari con un tecnico di ciascun ente, museo e galleria, per poi pianificare una strategia comune da promuovere con una voce sola». Quello che serve, «è una mentalità rinnovata, che valorizzi al massimo ciò che abbiamo, consapevoli che arte vuol dire arte di vivere, che attorno all’arte si possono organizzare convegni, magari invitando grandi collezionisti. Pensando che il Teatro Regio possa ospitare anche concerti più leggeri da trasmettere in Tv o qualche grande spettacolo del teatro di prosa». E ancora: «Stupinigi sarebbe perfetta per una biennale dell’antiquariato, la Reggia di Venaria potrebbe ospitare una grandissima mostra sui fiori, che metta insieme opere d’arte figurata e vivaistica di alto livello». E poi il cibo. «Che a sua volta è un’arte, da collegare al territorio e alle sue ricchezze». Valorizzando il patrimonio storico che Torino possiede, «ma tornando anche a organizzare grandi mostre come quella di Monet».
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l'editoriale