Siamo alla vigilia del voto sui referendum che riguardano la riforma della giustizia. Una corsa parallela alla proposta del Governo e al disegno della ministra Cartabia. Cinque quesiti a cui rispondere con un Sì o con un No. Cinque e non sei, come era all’inizio perché la Consulta ne ha tagliato uno, forse quello più popolare sulla responsabilità civile diretta dei magistrati.
Una questione che ci portiamo dietro fin dal 1987 quando Marco Pannella, sull’onda emotiva del caso Tortora, ottenne 20 milioni di voti favorevoli a stabilire proprio quella responsabilità. Erano tempi diversi e lo Stato decise che era più saggio mettere mano al portafoglio e, con la legge Vassalli, ricompensare gli innocenti e non toccare i diritti della Casta togata. Oggi i cinque referendum rimasti arrancano contro il vento sferzante del quorum (serve il 50 % del voto degli aventi diritto) e soprattutto un’informazione scarna, a tratti incapace di coinvolgere i cittadini, anche quando per esempio, la televisione decide di parlarne affidando il dibattito a truppe di avvocati, giuristi e magistrati che, tuttavia, finiscono con il fornire risposte per addetti ai lavori. Chi si aspettava tribune politiche con i Sì e i No contrapposti è stato deluso. Come dire che sono in molti, forse troppi a non sapere quale casella sbarrare con un tratto di matita. Dunque, mentre in Senato tra pochi giorni riprenderà il dibattito sulla riforma Cartabia, martedì prossimo o mercoledì sapremo se gli italiani hanno sbarazzato il campo dai dubbi, andando alle urne.
Andando nel dettaglio di questi referendum ai quali dedichiamo due intere pagine, domenica a tutti noi sarà chiesto innanzitutto se cancellare la legge Severino sulla incandidabilità dei condannati. Quella norma secondo cui Silvio Berlusconi il 27 novembre 2013 perse lo scranno di senatore dopo una condanna a quattro anni per frode fiscale. Poi, se limitare la custodia cautelare durante le indagini preliminari. O bloccare per sempre la possibilità che giudici e pubblici ministeri passino da una funzione all’altra come se cambiassero abito. Ultime due questioni, il diritto di voto agli avvocati nei consigli giudiziari e nel consiglio direttivo della Cassazione, poi, la soppressione di un minimo di firme per candidarsi al Consiglio superiore della magistratura. Sullo sfondo restano lo scandalo Palamara che ha svelato i lati oscuri del Csm, il gioco delle correnti, i balletti delle carriere tra inquirenti e giudicanti. Tutte questioni che forse interessano dell’eutanasia che invece la Consulta ha deciso di non ammettere, ignorando milioni di firme.
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