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Quegli sporchi colletti bianchi

American banker/white-collar crime

Depositphotos

A cercare nella libreria di casa, tra i volumi un po’ consunti dei tempi dell’università, c’è anche “Il crimine dei colletti bianchi”, di Edwuin H. Sutherland. Poco più di 340 pagine racchiuse in una copertina marroncina e beige con cui il criminologo americano descriveva in modo vigoroso, con ricchezza di dati e di storie vere, gli illeciti commessi da chi indossa giacca e cravatta. «Criminali nell’ombra», diceva lui. Che da bambini hanno ricevuto l’educazione migliore e, generalmente, hanno potuto contare su benefici e ricchezze dovute al cognome, più che ai meriti. La prima edizione è del 1983. E per fortuna, all’Università si legge ancora. Perché 39 anni dopo, il marcio che descriveva puzza ancora di più. Nonostante l’odore di questo tipo di crimini venga sovente coperto dalla retorica di chi riduce il concetto di sicurezza al controllo di reati più “visibili” e in qualche modo “vicini” alla gente. E’ facile dire arrestate gli spacciatori, difficilissimo ridurre la domanda di droga. Gli spacciatori si vedono, i colletti bianchi no. Nascosti nell’ombra dorata dei circoli che comunque contano. Solo negli ultimi mesi abbiamo registrato miliardi di euro sottratti al bonus che avrebbe dovuto ridare dignità alle case e anche ai palazzi popolari. E ieri i carabinieri hanno scoperto una truffa da 100 milioni favorita da un gruppo di professionisti, avvocati e commercialisti con complici e suggeritori noti alle cronache di nuovo ai danni delle banche e, soprattutto, dello Stato. Mi viene da dire che sono questi i veri cancri che minano il tessuto sociale del nostro Paese, senza nulla togliere alla pericolosità della criminalità spicciola. Ma mi chiedo anche quali buchi abbia la rete di protezione scritta dai burocrati e sancita da leggi e ordinanze. Non rischio di dire che esistano complicità, ma certo superficialità. E forse ignavia. Cominciamo a fare pulizia. Partendo dall’alto.

stefano.tamagnone@cronacaqui.it
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