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Armi, cocaina e acqua santa

mirafiori madonna
Nella teca di vetro c’è la statua dell’Immacolata Concezione, la Madonna di Lourdes. E’ stata posta in un viale al centro dei casermoni di via Artom, dove martedì sera due gruppi di giovani si sono affrontati a pistolettate. E già ieri c’era chi gridava al miracolo perché uno dei proiettili che poteva uccidere un ragazzo di colore del Mali si è conficcato in un polpaccio e il giovane se l’è cavata con poco. Superstizione, onore, senso di appartenenza, sembrano essere gli elementi che caratterizzano il vecchio quartiere operaio di Mirafiori Sud, dove sono spuntati come funghi palazzi progettati con criteri moderni e che fanno da contraltare alle case di sei piani con le tende di nylon sui balconi. E se in alcuni angoli, tra i vialetti e i parcheggi, c’è chi ha abbandonato rifiuti e masserizie, l’aiuola fiorita della Madonna è ben curata, come sono tenuti con decoro murales e fotografie di giovani, residenti nel quartiere, deceduti o per overdose o in incidenti stradali. Onore e rispetto, dunque, per i morti e per il sacro, ma il parroco di San Remigio, don Giuseppe Nota, guarda il suo gregge con preoccupazione e con occhi un po’ diversi. Infatti, al di là delle madonne e degli altarini in strada, «le istituzioni si sono dimenticate di noi», spiega afflitto. E dire che lui ci ha provato, con impegno: «Per i giovani in questo quartiere non c’è nulla. E’ un deserto. Prima della pandemia ho aperto l’oratorio per creare un luogo di aggregazione, ma sono stato costretto a chiuderlo per mancanza di risorse umane». Non ha trovato volontari disponibili a trascorrere pomeriggi con i ragazzi, a giocare a pallone con loro, a fare i compiti insieme, a interagire con le famiglie e, conclude, «temo che l’oratorio resterà chiuso, anche se vorrei riaprirlo». Un tempo questo era un quartiere dormitorio, ma anche un luogo dove le persone riuscivano a creare un senso di genuina appartenenza e di mutuo soccorso. Poco più avanti, ci sono le case Fiat, dove è nata e cresciuta Rita Pavone, per anni orgoglio delle persone che abitavano da queste parti. Ma da allora è cambiato tutto e, pur dopo lustri in cui via Artom non è stata più al centro delle vicende criminali delle periferie torinesi, oggi la droga ha trasformato le dinamiche, non solo tra i ragazzi, ma nelle famiglie. Ieri in pochi avevano voglia di parlare e i più liquidavano la sparatoria come, spiega il signor Antonio, «una lite tra due gruppi di giovani che volevano giocare a calcetto sullo stesso campo». Peccato, però, che qualcuno ha estratto una pistola e ha fatto fuoco, e tutto ciò sembra davvero troppo per una partitella a pallone. «Io mi faccio gli affari miei e vivo tranquilla - aggiunge la signora Rita -, ho sentito gli spari, ho saputo del ferimento, ma non ho dubbi che questo sia accaduto a causa dello spaccio di droga». Nei giardinetti qualcuno la vende cocaina, è vero: «Tutta gente di qui, ma non danno fastidio. Il fenomeno è limitato, ma spesso accade che arrivino altre persone», aggiunge la signora Gianna. Sono gruppetti di extracomunitari che vengono a frotte in bici e con i monopattini, «spacciano in un territorio che non è il loro - spiega il signor Domenico - e allora c’è chi è nato qui che difende il quartiere, sia dai pusher, sia da chi vuole fare il bello e il cattivo tempo nel campetto di calcio». Una difesa quantomeno discutibile del territorio da parte di un nucleo di ragazzi (e adulti), alcuni incappucciati, scesi dalle scale dei palazzoni e pronti ad attaccare briga. Una banda di qui, ma che nessuno dice di conoscere, perché quei ragazzi hanno padri, madri, cugini e compari d’anello e, dunque, «è meglio tenere la bocca cucita. Non parlo per me - dice la signora Maria -, ma questo vale un po’ per tutti. Io sono rincasata subito dopo la sparatoria, sono arrivata con l’autobus, un poliziotto mi ha chiesto se avessi visto qualcosa, ma ero sul bus quando hanno ferito quel ragazzo». Che la cocaina circoli non ne fa mistero la signora Carmela: «Ci sono anche degli africani che vengono qui. Mi hanno detto della sparatoria, io ho sentito i colpi, ma pensavo fossero petardi. Di solito si fanno scoppiare per festeggiare quando qualcuno esce di galera». Gruppi di stranieri (in tutti sensi), vengono segnalati anche dal signor Francesco e da Annalisa: «Stiamo diventando come piazza Bengasi, si vive con il cuore in gola». Lo conferma e chiosa il presidente del Pd della Due, Luca Rolandi: «Non vorrei che via Artom diventasse la nuova centrale dello spaccio».

marco.bardesono@cronacaqui.it
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