Pace fiscale senza equità

La chiamano «pace fiscale». Pace in che senso? Forse che il cittadino comune è in qualche modo in guerra con lo Stato? O è quest’ultimo che offre una amnistia per placare i bollori di chi si sottrae ai suoi doveri, nella convinzione che tanto prima o poi arriverà un condono? Ed è difficile dargli torto, considerando che con la manovra di oggi, salvo sorprese, arriverà un’ampia rottamazione di cartelle esattoriali, multe, sanzioni, tributi arretrati e chi più ne ha più ne metta. Chi ha il vizio di pagare sempre nei tempi previsti magari si sente anche un filo preso per i fondelli. Certo, se 19 milioni di italiani hanno questioni pendenti con l’Agenzia delle entrate, qualche domanda occorrerà porsela. Nel mucchio ci sono di sicuro evasori seriali di professione - quelli fiduciosi nei condoni, di cui sopra - ma anche persone realmente impossibilitate a far fronte a un meccanismo che, di fronte a un mancato pagamento o a un ritardo, accumula carte su carte, sanzioni su sanzioni, interessi su interessi, meccanismo che poi va in cortocircuito per una certa inadeguatezza nell’esigere il giusto e nei tempi congrui. Non sono passati troppi anni dai tempi delle cartelle pazze di Equitalia e dalle tragedie collegate, ma frenare gli abusi non ha salvato i soggetti più esposti e non ha reso più efficiente la macchina pubblica. E quei Comuni pronti, come Torino, a cancellare cartelle per milioni di euro, a patto di ricevere compensazioni e coperture dal governo, sottolineano la necessità di perfezionare il meccanismo stesso di riscossione. In poche parole, si parla di pace o di puntualità, ma l’unica parola che starebbe bene accanto a “fiscale” è “equità”.

andrea.monticone@cronacaqui.it