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I lupi contro Benedetto XVI

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All’inizio del suo pontificato, Benedetto XVI chiese ai fedeli di pregare per lui, perché «non scappi di fronte ai lupi». Poi, all’epoca delle clamorose dimissioni, quella frase risuonò nelle menti come un sinistro presagio, quello di un uomo che sapeva di avere dei nemici nella Chiesa. Ci fu chi disse che Ratzinger si dimise perché oggetto di una qualche forma di ricatto, una tesi duramente respinta in questi giorni da monsignor Georg, l’uomo che gli è sempre stato più vicino, il principale collaboratore.

Se nemici c’erano - e c’è poco da dubitarne - saranno stati quelli che hanno “armato” la mano di Paoletto, il maggiordomo poi condannato per il furto di documenti dalla scrivania stessa del monsignore, documenti finiti in seguito su Wikileaks e nel libro di Gianluigi Nuzzi. Benedetto XVI graziò il maggiordomo a Natale 2012, due mesi dopo si dimise, ma sappiamo sempre da padre Georg che la decisione era già stata presa al termine di quell'estate. Un colpo a effetto che, azzerando il Vaticano e la sua gerarchia, di fatto tagliò gli artigli ai suoi tanti avversari.

Tempo dopo, da papa emerito, gli venne chiesto di firmare con monsignor Viganò una introduzione a un’opera curata per la Lev dal futuro arcivescovo di Torino, monsignor Repole. Benedetto XVI rifiutò e scrisse una lettera a Viganò per la motivazione - c’era di messo anche un teologo di pensiero molto ostile a Ratzinger - che questi poi pubblicò “tagliata”. Inutile dire che quando il documento integrale venne alla luce, fu Viganò a doversi dimettere. Più che «il diavolo all'opera» - sempre padre Georg - o i lupi, Benedetto ha dovuto sempre guardarsi dagli uomini, specie quelli affamati di un potere che lui, invece, aveva saputo rifiutare.

andrea.monticone@cronacaqui.it
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