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Un gelsomino (forse) ci salverà

Gelsomini
Pavimenti riflettenti e coperture drenanti. Piante mangia smog, cisterne per il recupero dell’acqua piovana e tunnel ricoperti di gelsomini che, oltre a resistere bene al caldo e al freddo, divorano le polveri sottili per poi restituirci ossigeno. C’è tutto questo, e anche di più, nel progetto con cui il Comune trasformerà un pezzo di città in avamposto della guerra alle emergenze climatiche. Sostituendo il nero con il verde, il grigio con il blu in una zona che fa da “cerniera” a tre quartieri diversi e in duecento anni ha visto stravolta la propria natura. Nel ‘900, nei prati punteggiati di cascine sferzati dal vento della Valsusa che non a caso chiamavano “Polo Nord”, arriva la ferrovia, e questa porta l’industria. Nascono la Itala (quella del raid Pechino Parigi), la Spa Società Piemontese Automobili, la Fergat (componentistica per auto), la Ipra radiatori. E poi la più grande: la MaterFerro, da cui escono vagoni e locomotive. Alla fine del secolo, però, le grandi fabbriche chiudono, il “Polo Nord” cambia di nuovo volto. Si costruiscono case, giardini, arrivano i servizi. Ma un’enorme area di 25mila metri quadri resta inutilizzata, se non per parcheggiare le auto. È qui, dove la terra non respira più da quando venne ricoperta da una colata di asfalto, che sorgerà il nuovo eden mangia-smog. Che sarà un puntino infinitamente piccolo nella mappa della città più inquinata d’Europa. Ma è comunque un inizio. Anche di un nuovo modo di pensare. Perché l’ambiente non si cura soltanto con i divieti, ma attraverso azioni concrete, nuove tecnologie applicate all’urbanistica, nuovi spazi da vivere. Tra le piante e i gelsomini che di polveri sottili ne mangeranno anche poche, ma aiutano a sanare una frattura ormai troppo profonda tra l’uomo e la natura di cui fa parte, senza più ricordarsene, fino a quando la natura non si ribella. stefano.tamagnone@cronacaqui.it
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