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Il Borghese

Sanità, se il privato non basta

Il guaio delle strutture ingolfate, dei troppi codici bianchi

pronto soccorso asti

Si chiama “boarding”, ma non riguarda gli aerei e l’imbarco per i voli. È quella fase che passa tra l’ingresso in pronto soccorso e il ricovero, quando necessario, in un letto. Che, nelle nostre strutture, è di sette giorni. Sette giorni in barella, che certo non sarà più una lettiga di tela - le cosiddette barelle, ormai, per fortuna, sono assimilabili a veri letti -, così come i corridoi sono in linea di massima sostituiti da luoghi di “degenza temporanea”, reparti di osservazione, ma in ogni caso è come essere parcheggiati in attesa di accedere al reparto.

Ecco, nel momento in cui si discute di pubblico o privato, si dimentica che il vero male delle nostre strutture d’urgenza è questo. Varie le cause: a partire dall’eccesso di codici bianchi e verdi, ché in certe situazioni presentarsi in pronto soccorso rimane la soluzione migliore per tanti. Per anziani e meno anziani. Perché non c’è il tempo per aspettare che il medico di famiglia apra lo studio, o per la visita di controllo prenotata a distanza di mesi. Nel momento in cui la sanità pubblica accetta il contributo di quella privata - quindi, cliniche che si dotano di pronto soccorso - siamo sicuri che si porrebbe rimedio a questa situazione? A questa come a quella delle liste d’attesa, il vero male della nostra sanità. La sanità privata vuole contribuire a decongestionare quella pubblica, e da quella pubblica è pagata, considerando i milioni di euro dati alle strutture convenzionate. Ma diventa inutile dare il bianco al salotto, o alla mansarda, quando le fondamenta scricchiolano.

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