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IL BORGHESE
18 Settembre 2023 - 08:08
Il dolore di papà Paolo «Dove ho sbagliato? Non ho salvato Laura»
Paolo Origliasso esce dal Cto su un’auto dei carabinieri. Polo bianca, jeans corti, braccia fasciate così come le gambe ed evidenti segni di ustioni, sul capo e non solo. È appena stato dimesso dall’ospedale e in testa ha solo due pensieri. Il primo, per il piccolo Andrea, 12 anni, l’unico figlio che riuscirà ancora ad abbracciare. E lo vuole fare subito, infatti imbocca la strada che porta al Regina Margherita e sale al reparto di Rianimazione. Dove troverà il suo ragazzo, che ha ustioni sul 30% del corpo e che i dottori hanno iniziato, gradualmente, a risvegliare.
Andrea ha accanto a sé degli psicologi che non gli hanno, evidentemente, ancora detto che non vedrà mai più la sua sorellina, Laura, 5 anni. Ed è per Laura il secondo pensiero di Paolo Origliasso - quando lascia l’Infantile sulla 500 nera guidata da un amico -, dopo la giornata tragica dell’altro ieri. Una giornata «che ha ripercorso migliaia di volte», ha ammesso il dottor Maurizio Berardino del Cto. Paolo, per la figlia, oltre all’inimmaginabile dolore ha anche delle domande, che ha rivolto ai medici. Tante domande. «Cosa potevo fare diversamente? Dove ho sbagliato? Potevo salvare Laura?». Tante sì, ma alla fine è un po’ come se fossero un quesito solo.
E cioè il più classico dei «se tornassi indietro...». Non può tornare indietro, Paolo, ma nemmeno poteva immaginare che dei frammenti di un jet in fiamme sarebbero piovuti sulla sua Citroen mentre lui, la moglie e i due figli tornavano a casa un pomeriggio qualsiasi di un sabato. Come avranno fatto tante altre volte. Venti, i giorni di prognosi per Paolo, 40 quelli della moglie Veronica, che rispetto al marito ha ustioni più gravi ed è ancora ricoverata. Fuori dal Regina Margherita, per stare vicino a papà e mamma, ci sono anche i nonni materni. Anche loro, comprensibilmente scossi, pensando al tragico destino della nipotina Laura e speranzosi nel poter rivedere presto in salute l’altro loro nipotino, Andrea.
Davanti alla loro abitazione a San Francesco al Campo c’è un assembramento di cronisti che fa impressione. Soprattutto ad amici e parenti che, per tutto il giorno, si avvicendano a portare una parola di conforto a una famiglia distrutta dal dolore. «Andatevene via o vi ammazzo, ve lo garantisco» esplode furioso qualcuno di loro, uscendo dalla porta di casa e trovandosi assediato dalle telecamere. «Prendo la macchina e vi schiaccio, ve lo giuro». Ma il dolore di quell’anima spezzata è comprensibile. «Non è giusto aspettarlo dappertutto, lo capirete anche voi» sottolinea un vicino della villetta da cui Laura, ogni mattina, usciva per andare a scuola.
Blindate le tapparelle. Immobili le altalene del dondolo dei due bambini al centro del cortile che affaccia su via Roma. «Pensare di non vederla più giocare con il fratellino mi spacca il cuore» rivela un’amica di famiglia, chiedendo l’anonimato per «non turbare quei poveri disgraziati». Ricomparirà in serata davanti alla parrocchia per la preghiera che la comunità ha organizzato per Laura. «Non riesco ancora a crederci» aggiunge, prima di cercare il fazzoletto nella borsa. Lo stesso gesto che fanno in molti attorno a lei, solo a sentire il nome di quella bimba. «Andavano all’allenamento del fratellino» aggiunge il sindaco Diego Coriasco, tra i primi a presentarsi davanti al sagrato della chiesa dopo non aver praticamente dormito nelle ultime ventiquattro ore. Oggi la scuola osserverà un minuto di silenzio. Perché è quella la realtà più dura da accettare. Laura non c’è più, per una fatalità difficile da spiegare. Insegnanti, psicologi ed educatori si sono scervellati per tutto il giorno sperando di poter trovare le parole per comunicarlo ai suoi compagni di classe e a quelli del fratellino Andrea. Lui è ricoverato in ospedale con il 30% del corpo ustionato. «Preghiamo anche per lui, sarà difficile che ritorni a sorridere quando scoprirà cosa è accaduto».
Enrico Romanetto
Niccolò Dolce
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