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IL BORGHESE

Mirafiori fa la cavia sul modello cinese

Leggi il commento del direttore Beppe Fossati

Mirafiori fa la cavia sul modello cinese

Mirafiori fa la cavia sul modello cinese

Un colpo di spugna alla storia di Torino un tempo Capitale dell’Auto in Italia. E non solo. Si potrebbe leggere così l’agonia del gigante Mirafiori che giace azzoppato in quel di corso Tazzoli. E così vengono in mente i bei tempi andati con quelle tute blu appese ad asciugare sui balconi il sabato mattina, quasi fossero bandiere che inneggiavano al lavoro e al benessere delle famiglie. Ora in fabbrica si vivacchia, e pure male, tra operai della 500 elettrica in cassa integrazione e colleghi più fortunati costretti a turnare in altri reparti. E la produzione langue con la prospettiva di arrivare appena a 50mila auto prodotte nel corso dell’anno, contro le 200mila che potrebbero garantire la sopravvivenza della fabbrica.


Lo dicono i sindacati, conti alla mano, lo ribadisce l’Anfia (Associazione nazionale filiera industria automobilistica) attraverso il suo direttore generale Gianmarco Giorda che invoca un nuovo modello da mettere in produzione, stimolando il governo a valutare sia l’ipotesi dei cinesi della Leapmotor (che già navigano all’interno della galassia Stellantis), sia l’adozione di incentivi a chi acquista un’ auto elettriche. L’ennesima voce che invoca l’apertura verso altri mercati in grado di produrre un’utilitaria green a prezzi competitivi anche rispetto al diesel e alla benzina.

Ma il tempo scorre e c’è la sensazione che su Mirafiori si facciano solo parole, o peggio ancora possa diventare una sorta di cavia industriale su cui sperimentare strategie miste di lavorazione. E poi ci sono da considerare i tempi per la predisposizione delle linee di montaggio e l’eventuale messa in produzione. Tempi che certo non consentono di mettere a regime quelle 200mila unità che rappresentano la linea di galleggiamento del gigante abbandonato. E così fiorisce il gossip industriale sui compensi dei manager Stellantis, in primis l’ad Carlo Tavares con i suoi 23 milioni guadagnati nel 2023. Con un paragone che piace tanto ai sindacati: «Lui guadagna come 12mila operai...».

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