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Il Borghese
28 Ottobre 2025 - 05:50
La prima volta di un Agnelli davanti alla giustizia è proprio del fondatore della Dinastia: il Senatore (non ancora tale, ma già Cavaliere del Lavoro) Giovanni, cofondatore della Fiat, che si ritrovò in tribunale nel 1909 con le accuse di «illecita coalizione, agiotaggio in Borsa e falsi in bilancio», con varie manovre di speculazione borsistica, compresa una liquidazione della Fiat per ricostituirla con altra composizione societaria (ossia: sua e basta).
La parte migliore della storia riguarda il processo d’appello nel 1912, dopo l’assoluzione in primo grado: a difendere Agnelli ci fu direttamente il ministro della Giustizia Orlando che si era dimesso temporaneamente. Immaginatevi la pressione sui giudici... E poi ci fu il capolavoro di una perizia realizzata dal professor Piero Astuti che dimostrava la manipolazione delle scritture contabili. Il professore era talmente bravo che Agnelli lo assunse come suo consulente. Immaginate la nuova perizia?
Andiamo all’epoca moderna, ed entriamo in Tangentopoli: possibile che la Fiat non pagasse tangenti o altro ai partiti? Certo che le pagava, lo ammise l’amministratore delegato Cesare Romiti in persona. E finì sotto processo. Lui, però, non gli Agnelli. «Agnelli poteva non sapere» fu detto all’epoca.
Sorvoliamo sulle disavventure giudiziarie - con patteggiamento - per Andrea Agnelli alla guida della Juve (e per cui un pm voleva addirittura l’arresto) e rimaniamo sulla linea ereditaria della (ex) Fiat: ora tocca a John Elkann, per una vicenda personale, quella dell’Eredità Agnelli, ma legata strettamente a trust e holding e manovre finanziarie. A fine novembre sapremo se il giudice gli concederà la messa alla prova presso i Salesiani, per giungere all’estinzione del reato, senza processo.
La messa alla prova è una forma di giustizia riparativa, nata per i minorenni a scopo riabilitativo: sarebbe davvero un unicum che venisse data a un finanziere di portata internazionale, miliardario, accuse di truffa ai danni dello Stato ed evasione. Ma, in fondo, abbiamo visto di peggio.
Solo una domanda: quanto sarebbe terribile un dibattimento, con altri particolari e dettagli magari che verrebbero svelati, da preferire questa specie di gogna pubblica a una possibile assoluzione, a testa alta, davanti a quella scritta «la legge è uguale per tutti»?
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