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Il Borghese
08 Dicembre 2025 - 05:50
Sono passati quarant’anni da quando la Juventus vinceva a Tokyo la Coppa Intercontinentale, segnando un momento spartiacque del calcio (e del modo in cui lo guardiamo).
La Juve arrivava in Giappone - scelto come località “neutrale” - per la Coppa dei Campioni all’Heysel, qualcosa da dimenticare velocemente.
Diretta internazionale all’alba, ma non per tutti. Si sapeva, infatti, che praticamente solo in Lombardia avrebbero potuto captare il segnale di Canale5 A Torino, in maniera assolutamente misteriosa, c’erano piccole sacche di ricezione in collina. Tra cui, per mia fortuna, il bar di un amico di mio nonno, che vantava non so quale antenna satellitare semiclandestina... Segnale a sprazzi, va detto. Juve in campo contro l’Argentinos Junior, su campo pesante per la pioggia, nel rumore delle trombette dei giapponesi, piacevoli come l’acufene.

Juve due volte sotto e due volte pareggia, l’ultima sul filo di lana con Laudrup che resiste al portiere che vuole abbatterlo: oggi chiunque si butterebbe a terra, per il rigore, rotolando da Tokyo a Okinawa, minimo. In mezzo, il gol annullato a Platini, meraviglioso ma non come la sua reazione: sdraiato sul prato. Ai rigori, Tacconi para due volte, Le Roi segna quello decisivo.
Pensi a quarant’anni prima e, come in “Febbre a 90”, ti dici «ho visto troppe partite»: Comunale, Olimpico, Stadium, Emirates ovviamente e in mezzo Wembley e anche Craven Cottage. Il gol decisivo in Liverpool-Arsenal del 1989 trasmesso forse da Tmc, la strage dell’Hillsborough forse su Capodistria? Oggi c’è la copertura totale in televisione, anche troppo. Ma quel suono di trombette ti torna indietro, come le maglie immacolate senza sponsor. Come un altro calcio.
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