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Il giovane capitano Jacob è il figlio odiato di Stalin e la sua guerra è liberarsi

il figlio di stalin 1

Non vuole essere riconosciuto ma neppure tenta di nascondersi totalmente, forse perché sa che alla Storia non si sfugge. Il malconcio capitano che, nel cuore della seconda guerra mondiale, si presenta al colonnello comandante del campo per prigionieri, lì da qualche parte in quella che era la Prussia, recita semplicemente il suo nome: «Jacob di Josef... Džugašvili». Non ha documenti e in tasca ha solo la foto di una donna, sua madre. Ma al destino non si sfugge, appunto: perché quella foto ha sul retro una dedica di pugno di Stalin e quell’improbabile capitano è nientemeno che suo figlio.

È una storia non famosissima eppure vibrante e piena di molti non detti, ancora oggi, quella del primogenito di Iosif Stalin, orfano in tenerissima età della madre georgiana, cresciuto controvoglia al Cremlino, soffocato e angariato dal padre, innamorato di una ballerina ebrea di Odessa (che gli avrebbe poi dato due figli), ufficiale al martirio. La raccontò, nel 1953, ossia alla morte di Stalin, Riccardo Bacchelli, in un romanzo storico che fa parte del ciclo de “Il mulino del Po”. E che oggi torna (Il figlio di Stalin, Minimum Fax, 16 euro) in una nuova edizione arricchita dalla postfazione di Raffaello Palumbo Mosca.

Vicenda complicata da ricostruire, all’epoca così come oggi: inizialmente nascosto, l’ufficiale Džugašvili diventa poi uno strumento della propaganda nazista, pur in uno scenario quasi di incredulità, dal momento che alla gran parte delle truppe l’esistenza stessa di Jacob era ignota. Si tentò anche uno scambio di prigionieri, ma Stalin disse «non scambiamo un generale con un capitano». La Germania nazista sostenne poi l’uccisione del capitano, forse durante una fuga, diffuse voci e fotografie. Solo in epoca più recente la figlia di Jacob ha raccontato un’altra verità, ossia che il padre sarebbe morto in battaglia e dunque non sarebbe mai stato fatto prigioniero. E molto postuma gli è arrivata l’onorificenza che gli spettava.

Ma tutto questo ci allontana dal cuore di questo romanzo così intenso. Oggi, in tempo di guerra feroce e incomprensibile, la vicenda umana di un uomo che cerca di fuggire dalle grinfie del potere, del suo stesso nome, diventa mirabile. Nella sofferenza del freddo, degli uomini che muoiono scavando fosse comuni in cui si lasciano cadere o semplicemente non risvegliandosi più in un’alba gelida (uomini cui la fame «li gonfia, come se il sangue gli andasse in acqua marcia; e non sentono nemmeno più fame e fatica; si sentono soltanto morire»), degli esperimenti medici praticati sui prigionieri, esiste qualcosa di ancor più terribile di una guerra la cui eco, nelle patrie ai due lati della linea del fronte, era propaganda. La realtà stava nelle baracche e nel fango.

Il capitano, beneficiato di una stufa e di un apparente privilegio, muta identità, rivela nomi diversi, eppure alla fine la verità filtra e alla sofferenza si aggiunge altra sofferenza, quella generata dall’odio e dall’invidia di quelle ascendenze così potenti. L’amico Sergio condivide questo percorso, accoglie anche l’odio riversato su di loro, per non lasciarlo. Una nobildonna tenta anche di sedurre il giovane ufficiale, per convertirlo al nazismo, ché sarebbe stato un colpo incredibile per la macchina della propaganda. Ma Jacob è sì un uomo smarrito però deciso, al di là delle apparenze, privato dell’amore oppone quella rabbia gentile e anarchica di chi si deve sottrarre alla tirannia, fosse anche quella del padre: «Riguardo alla morte di Jacon, una cosa è vera e certa: ossia, fu conforme a come desiderò di vivere. Per ottener tanto, non c’era altro mezzo che di rinunciare a esser figlio di Stalin».

IL FIGLIO DI STALIN Autore: Riccardo Bacchelli Editore: Minimum Fax Genere: Romanzo storico Prezzo: 16 euro
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