l'editoriale
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31 Marzo 2022 - 09:10
E la ragazza che non vuole essere sposa fugge correndo quasi volando sui fili del bucato, irraggiungibile come la luna che una bambina aspettava seduta sul tetto di casa, fino a che non si è addormentata e quella è scappata via, magari a fare l’equilibrista anche lei nel circo di Alessandria d’Egitto, per cancellare i dolori e scoprire cosa significa libertà.
Sono racconti sospesi fra cielo e terra, fra voci di bazar e di uomini seduti a guardare una partita, di donne tra lenzuola e voli per l’America quelli di Randa Jarrar, scrittrice americana di madre egiziana e padre palestinese, che scopriamo nel libro “Io, lui e Muhammad Alì” (Racconti Edizioni, 16 euro, traduzione di Giorgia Sallusti) appena uscito in Italia. Racconti e visioni, una poetica che sa di libertà, di lotta contro le divisioni di classe e il sessismo: c’è chi parte per una terra nuova, che non sarà mai la sua, portandosi dietro le ceneri di suo padre, c’è la bambina che viene rapita al supermercato e sorprendentemente scopre di stare meglio con la nuova famiglia. Ci sono donne che scostano metaforicamente il velo per sciogliere ben altri veli, c’è una voce ironica e beffarda - beffarda nei nostri confronti, uomini e occidentali, ma anche della storia di una Sharazade che narra per salvarsi la vita, ma in fondo è sempre sottomessa mentre queste donne vogliono essere libere - che affascina e invita a leggere fino in fondo.
Un piccolo tesoro, questo libro, non solo per la personalità della sua autrice: la peculiarità sta nella casa editrice che non per caso ha scelto di chiamarsi Racconti. Fondata nel 2016 a Roma, si dichiara la prima casa editrice italiana a pubblicare solo racconti, in un catalogo davvero particolare che include anche James Joyce, Richard Wright, Mary Robinson (una che da ragazza è fuggita di casa inseguendo il sogno di Kerouac), la pluripremiata Kali Fajardo-Anstine e Margaret Atwood. Andando così a infrangere il luogo comune che «i racconti non vendono» o che siano una forma letteraria minore, mentre all’estero, in particolare nel mondo anglosassone, sono un genere quasi a sé, una prepotente forma d’arte che affonda le radici in una tradizione fatta di frontiera, di avventure d’appendice, di Jack London e di Bukowski, fino a Carver. «Il racconto - dicono dalla casa editrice - sembra identificarsi come la forma letteraria tipica della contemporaneità. Il modo più intimo per registrarne i cambiamenti, le sfaccettature e le minuscole pieghe. Il bisogno dell’attimo e del carattere epifanico che racchiude. Il racconto appare spesso come il viatico più immediato per la sperimentazione e per l’ascolto del nuovo, il dispositivo più adatto per il gioco della lingua e delle lingue, dei loro miscugli impensati, di quelle ibridazioni che così tanto parlano dell’oggi». Difficile non essere d’accordo.
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