l'editoriale
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05 Maggio 2022 - 08:43
Forse non è cattivo come John Niven, ma Karsten Dusse è altrettanto divertente. “Inspira espira uccidi” (Giunti, 16,90 euro, traduzione di Rachele Salerno) si può leggere come una sorta di crime story oppure come un manuale di Mindfulness, dannatamente efficace (se non teniamo conto del fatto che la gente muore...).
La mindfulness, tradotto alla lettera “consapevolezza”, è qualcosa che potremmo anche equiparare agli esercizi di pirobazia, ossia camminata sul fuoco, per i venditori (sì, anni fa c’era stato un gruppo che lo faceva fare) o alla new wave applicata all’economia o ancora ai corsi di leadership per dirigenti d’azienda e via discorrendo. Il protagonista di Dusse (avvocato ma anche volto noto della televisione tedesca) è Bjorn Demiel, un penalista in crisi sotto tutti gli aspetti: fa guadagnare un sacco di soldi al suo studio, ma non viene abbastanza considerato perché di fatto ha un cliente solo, il boss malavitoso Dragan, decisamente poco presentabile; lo stress mina la sua salute e il suo matrimonio; non vede mai la figlioletta e la moglie gli ha posto un ultimatum: o migliora qualcosa di se stesso, frequentando proprio un corso di mindfulness, oppure addio.
E così il nostro oppresso avvocato («Mettiamo subito una cosa in chiaro: non sono un uomo violento») bussa, in ritardo, alla porta dello specialista Joschka Breitner, autore dell’imprescindibile “Rallentare sulla corsia di sorpasso. Mindulness per dirigenti”. Sarà l’inizio della rivoluzione. «Ho commesso il mio primo omicidio a quarantadue anni - spiega l’avvocato - piuttosto tardi, rispetto alla media del mio ambiente. Certo, è anche vero che la settimana successiva ne avevo già fatti fuori cinque o sei».
E come ci è arrivato? Esercizi di respirazione, di concentrazione, di ritrovamento di una certa libertà, creazione di «isole temporali» dove pensare solo alle cose cose importanti. Poi, se nel weekend che si vuole dedicato alla figlioletta, il temibile Dragan ha dannatamente bisogno di aiuto perché ha fatto un casino (ha ucciso e bruciato un rivale proprio davanti a un bus di studenti in gita tutti armati di smartphone: video virale che più non si può) che si fa? Beh, per esempio si aiuta Dragan facendolo uscire dalla città nascosto nel baule dell’Audi, mentre si porta la figlioletta al lago. E ci si gode la giornata, il lavoro può aspettare, no? Certo, perché «solo l’idea di dover sempre fare qualcosa ci rende schiavi». Quindi, se lavori, lavori. Se stai con tua figlia al lago, stai con tua figlia al lago e il lavoro resta nel baule. Però, con il caldo, il lavoro - ossia Dragan - ci muore anche.
A questo punto, inizia l’escalation: Bjorn si libera del cadavere, tenendo solo un dito, la cui impronta valida gli ordini in codice di Dragan, fa finta di niente e di fatto si insedia alla testa del gruppo criminale, sbarazzandosi per inciso anche dei soci del suo studio: libero finalmente. Al di là del fatto che troppa gente lo vuole morto.
Sempre guidato dal manuale del suo guru, l’avvocato si trasforma in un capobanda criminale riuscendo in ciò che non gli era mai accaduto: conciliare famiglia e lavoro. Ordina esecuzioni, rinnova i vertici criminali, depista la polizia, insomma c’è di tutto in questa avventura.
Lo stile è brillante, senza neppure troppo cinismo, al limite con delle punte di autocompiacimento dell’autore che ammicca consapevolmente ai suoi lettori. A tal punto che non si può distinguere tra ironia e parodia nei confronti degli esercizi di consapevolezza (e neppure degli hispter, degli ambientalisti radical chic e delle liste d’attesa per gli asili: vedrete). E la storia non termina mica con il colpo di genio finale...
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