l'editoriale
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15 Settembre 2022 - 08:22
Domani interrogo. Ecco, con questa premessa, e questo titolo, potrebbe sembrare un thriller e anche di quelli angoscianti, soprattutto all’inizio dell’anno scolastico. Invece Gaja Cenciarelli con “Io interrogo” (Marsilio, 17 euro) realizza, come sottolineano le agenzie, un «d’amore da parte di un’insegnante non solo per una classe ma per il suo mestiere. E che in questa vigilia di ripresa dell’anno scolastico regala un commovente spaccato di questo piccolo universo in cui si formano uomini e donne nel confronto e nello scontro con chi, ogni giorno, ha la forza e il coraggio di sedersi in cattedra davanti a loro e contribuire a scriverne il destino». Una mitologia diffusa, e stanca, verrebbe da dire.
Siamo a Roma, quartiere Rebibbia, quello del carcere e delle storie a fumetti di Zerocalcare: borgata autentica, con i suoi problemi e con una nomea magari esagerata. Ed è un gran classico che le storie nel mondo della scuola passino dalla periferia - sai che noia, altrimenti, ambientarle ai Parioli?
Rebibbia, si diceva, ultimo anno di superiori, classe quinta A, anzi «l’immortale V A». Dove, a novembre, arriva una supplente d’inglese: una che è nata al centro e vive a Garbatella - come Gaja Cenciarelli che insegna inglese ed è anche una bravissima traduttrice - e si sente catapultata come in un altro continente nelle vite di questi ragazzi, un po’ geni, un po’ malandrini, alle prese con le loro mille problematiche generazionali, sociali, economiche, morali e non solo. A muovere la «professore», come la chiamano loro, è un amore infinito per il suo lavoro ma soprattutto per la dimensione umana più che didattica, come fossero uno direttamente e proporzionalmente legato all’altro. «Ha litigato con la sua classe. È come una lite tra innamorati. Si sente tradita, incompresa. Amore. Una parola troppo complessa, con infinite implicazioni sentimentali che lei detesta, e che non c’entrano con questa situazione».
E così diventa lei stessa parte di quel gruppo, ché a quell’età la vita è per gran parte legata alla scuola e alle sue dinamiche, e come si diceva nell’immortale “La scuola” di Daniele Lucchetti «i veri ripetenti siamo noi» ossia i professori. «Perché dà tanta importanza a questi ragazzi? Perché sono così fondamentali, per lei? Perché non riesce a fare il suo lavoro e vivere la sua vita come tutti gli altri, senza dover vivere anche la loro? Perché è sempre una questione di salvezza? Perché vorrebbe abbracciarli tutti e dirgli: voi non avete idea di quanto siete importanti per me?». In quella periferia i ragazzi, tutti, uno per uno, combattono quella che lei chiama la battaglia per la salvezza, il «salvarsi dalla neve», che è il senso che a suo avviso dovrebbe dare la scuola, capire quale strada intraprendere per difendersi dalle insidie, dalle scorciatoie, dai dolori, dalla violenza. Ciò che fa male, è che lei dica «ho sempre saputo dall’inizio chi si sarebbe salvato». Ecco dove fallisce la scuola. I prof dovrebbero capirlo.
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