l'editoriale
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22 Dicembre 2022 - 08:35
Questa è una storia di Natale e come tale è una storia di fantasmi, non può essere diversamente. Fantasmi del cuore, evocati dal proprio dolore lasciato silente per tanto tempo, e fantasmi per chi non vuol vedere. “Piccole cose da nulla” (Einaudi, 13 euro, traduzione di Monica Pareschi) dell’irlandese Claire Keegan è commovente e duro, caldo e agghiacciante, è qualcosa che ti può solo evocare Joyce e quella neve che cade sui vivi e sui morti.
Siamo a Natale, non a caso, nel bel mezzo degli anni 80. Bill Furlong ha una ditta di legna, torba e carbone: gira fattore e villaggi di questo angolo d’Irlanda con il suo camion perché nessuno resti al freddo. E se non basta il suo lavoro, c’è sempre un ragazzino in strada che riceverà i pochi spiccioli che ha in tasca, una famiglia cui verrà fatto credito, un’altra cui verrà dato un sacco di legna in regalo. Bill è un uomo retto, un lavoratore, un buon cattolico, è padre di cinque figlie. Nella settimana di Natale il primo spettro che si affaccia, dalla memoria del cuore, è quello di sua madre, incinta ragazzina, scaricata dalla famiglia ma non dalla donna per cui lavorava, che anzi si è anche occupata di lui, aiutandolo ad avere una istruzione, a non essere considerato solo un ragazzo senza padre. La madre morta giovanissima è una immagine che si sovrappone all’altro servitore che al piccolo Bill non ha mai fatto mancare un regalo, un consiglio, una borsa dell’acqua calda, tacendo sul segreto più grande, quello della sua nascita.
Il secondo fantasma è una ragazza in carne e ossa, che Bill trova nel convento delle suore, quelle che in qualche modo dominano la comunità, «hanno il potere che noi gli diamo, non crede?» replica Bill a chi glielo fa notare. Quel convento è una delle famigerate “lavanderie” dove finivano, non troppo tempo fa, le ragazze madri irlandesi, schiave condannate a scontare un peccato che non era tale e che sparivano, si faceva finta di non vedere. Claire Keegan, in calce a questo romanzo, traccia una nota con i numeri atroci di una vergogna per l’Irlanda e la Chiesa.
Chiamato a preoccuparsi dei fatti suoi, degli acquisti di Natale, del futuro delle sue figlie, insonne con una tazza di caffè nella notte, fermo nel suo camion, Bill sembra per certi versi aspettare il terzo fantasma, che potrebbe essere il padre mai conosciuto, potrebbe essere il se stesso mai diventato, potrebbe essere l’uomo che diventerebbe se rinunciasse al suo sentire. «Mentre proseguivano e incontravano altre persone che conosceva e non conosceva, si ritrovò a domandarsi che senso aveva essere vivi se non ci si aiutava l’uno con l’altro. Era possibile tirare avanti per anni, decenni, una vita intera senza avere per una volta il coraggio di andare contro le cose com’erano e continuare a dirsi cristiani, a guardarsi allo specchio?».
Un romanzo breve - non a caso Claire Keegan è considerata la migliore rappresentante della narrativa breve irlandese - ma dall’intensità struggente.
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