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Nel "quartiere Tetris" l'ispettore Khün indaga su veleni giunti dal passato

Il giallo sociale di Jan Weiler

Nel "quartiere Tetris" l'ispettore Khün indaga su veleni giunti dal passato

Una fossa di veleni che emerge dalle profondità della terra e aggredisce le fondamenta, i seminterrati del grande complesso residenziale modello, che poi tanto modello ormai non è più: una metafora quasi di spettri rimossi del passato che però, volenti o nolenti, rincontriamo costantemente, colpe antiche che resuscitano in moderne società tutt’altro che assolte.

Non c'è pace per Khün

Jan Weiler

Keller editore

18,50 euro

traduzione di Federica Garlaschelli

Siamo nel quartiere modello di Weberhöhe, periferia di Monaco: tutti però lo chiamano «quartiere Tetris» per le azzardate geometrie architettoniche e i colori. Un luogo dove per 1.200 euro al mese una famigliola di ceto medio può avere la sua casetta su due livelli, un pezzo di giardino con le siepi da curare obbligatoriamente per delibera condominiale, ma dove al lastricato di buone intenzioni si sostituisce il fango della crisi, della violenza, dell’intolleranza, del sospetto, la deriva quasi ballardiana - come se il suo “Grattacielo” fosse messo in orizzontale anziché in verticale - del sogno tedesco.
Qui abita e si muove Martin Khün, quarantaquattro anni, ispettore capo della Omicidi, poco più di 3.400 euro al mese di stipendio, la carriera inchiodata su una seggiola sfondata, un poliziotto atipico, «un diplodoco», dinosauro delle investigazioni. Nessuno come lui, però, riesce a far confessare un colpevole, a entrare in contatto con assassini o malviventi, forse perché vede la provenienza, vede la radice comune - fin da quando, da adolescente, ha fermato un altro ragazzo, quello con Eddie sul giubbotto - e anche lui ascoltava gli Iron Maiden - durante una rapina. Quello con cui non riesce a parlare, però, è suo figlio Niko, sedicenne troppo silenzioso e troppo preso per ideali di estrema destra che riemergono.

L’ispettore, diviso tra un matrimonio di routine, le difficoltà economiche e una ridda di pensieri che non hanno mai requie nella sua testa, deve indagare sul misterioso omicidio di un pensionato, delitto opera certamente di uno psicopatico, lì nel vialetto alle spalle del moderno complesso residenziale. Una vicenda che si incrocia con il rapimento di una bambina, forse testimone.
Ma il meccanismo dell’indagine in “Non c’è pace per Khün” (Keller, 18,50 euro, traduzione di Federica Garlaschelli), prima parte di una trilogia del giornalista Jan Weiler, è l’involucro e allo stesso tempo il mezzo per tracciare un autentico «romanzo sociale». Senza inseguimenti e pistole spianate, solo la borghese compostezza di una atmosfera alla Derrick tra misteriose rosse intrattenitrici del sesso on line, formatori e motivatori di banchieri che viaggiano in Suv, professori in lotta con l’inquinamento delle falde. E un assassino, uno psicopatico, celato tra loro, tra i segreti, nel non visto e nel rimosso. D’altra parte, il quartiere Tetris sorge dove c’era una fabbrica d’armi, il cui proprietario si è ucciso, facendola saltare in aria, per evitare il processo di guerra. E per una folle concatenazione di eventi è stato ricordato come un «nazista buono». Ma il passato riemerge, come i veleni dal sottosuolo.

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