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L'allarme dei magistrati contabili

Conti fuori controllo: «Molti enti pubblici sono dei buchi neri: rischiano la bancarotta»

Parla il procuratore Quirino Lorelli

Quirino Lorelli procuratore Corte dei Conti

Quirino Lorelli, procuratore regionale della Corte dei Conti

Quirino Lorelli non indora la pillola. Anzi, la rende ancora più pesante quando parla di «enti pubblici senza controllo». E li chiama anche «buchi neri». Questo controllo, come procuratore della Corte dei Conti, spetterebbe a lui. Ma sostiene di non riuscire a farlo perché mancano le denunce.

Denunce crollate

Lo dicono i dati della stessa Corte, che altro non è che il tribunale che vigila su enti e amministratori pubblici: nel 2020 le denunce erano state 2.288, scese a 1.860 nel 2021 e crollate a 1.468 nel 2022. E l’anno scorso ci sono state solo 2 sentenze riguardanti sindaci. «Un calo preoccupante, confermato anche nel 2023: in due mesi e mezzo abbiamo aperto 251 vertenze».

Gli uffici pubblici hanno ritrosia a denunciare. E gli organi di controllo interni, come i revisori dei conti di Comuni, Città metropolitana e Regione, fanno un lavoro pessimo

Facendo una proporzione, si arriva a un totale di poco più di 1.200. Quindi una riduzione ulteriore: significa che nei Comuni e nelle loro società partecipate sono diventati tutti più attenti? «Credo che gli uffici pubblici abbiano ritrosia a denunciare. E gli organi di controllo interni, come i revisori dei conti di Comuni, Città metropolitana e Regione, fanno un lavoro pessimo. Ma il problema ancora più grosso è negli uffici che erogano fondi pubblici: quando fanno la revoca amministrativa, non la comunicano alla Corte dei Conti».

I casi di Arpea e Atc

Lorelli fa un esempio concreto: «La mancata comunicazione è molto frequente nei contributi per gli agricoltori, che arrivano per lo più dall’Europa: ogni anno l’Arpea, cioè l’Agenzia regionale per le erogazioni in agricoltura, eroga centinaia di milioni a decine di migliaia di soggetti (nel 2022 la cifra versata è stata di 663 milioni di euro, ndr). Ed è impossibile che siano tutti corretti: alcuni gonfiano gli ettari a loro disposizione, dichiarano terreni che non hanno o segnalano pascoli a grandi altezze per ottenere più fondi. Un fenomeno odioso su cui noi non riusciamo a intervenire: riteniamo che Arpea se ne accorga e che avvii le procedure di recupero in caso di truffe. Altrimenti, oltre alla beffa, avrebbe pure il danno perché sarebbe poi la Regione a dover ripagare la Comunità europea».
Un altro esempio è FinPiemonte, la società regionale che gestisce i fondi da destinare alle imprese. La Corte dei Conti ha fatto emergere una lunga serie di frodi ai danni di FinPiemonte, con 6 milioni spariti in Svizzera e un’inchiesta penale: «Fino al 2020 non avevamo un rapporto per quanto riguarda la revoca dei loro fondi. Siamo riusciti a ottenerlo solo negli ultimi tre anni».
Gli esempi continuano: «Gli affitti degli alloggi popolari sono uno dei buchi neri del Piemonte: qualunque azienda privata avrebbe chiuso con quei livelli di incassi. La Regione rimborsa i Comuni e Atc ma, tra morosità colpevoli e incolpevoli più l’inefficienza nel recupero, c’è un problema molto grosso».

Gli affitti degli alloggi popolari sono uno dei buchi neri del Piemonte: qualunque azienda privata avrebbe chiuso con quei livelli di incassi

«Il sistema ha fallito»

Il procuratore sostiene che il problema riguardi tutti i livelli degli enti pubblici: «Il sistema di controllo non funziona: ha fallito. Ora rischiamo che ci si ritorca contro quando non si riusciranno a rendicontare le opere del Pnrr. Un pericolo enorme per gli enti, che già sono alla canna del gas: che succede se non riescono a rendicontare correttamente i fondi ricevuti? Non si tratta di distrazioni di fondi e danni erariali ma di mancato rispetto delle leggi amministrative. E di controllo che non c’è e quindi non può impedire i casi di mala amministrazione».
Per essere più “tranquilli”, Comune e Città metropolitana di Torino hanno firmato protocolli d’intesa con la Guardia di finanza: «Sì, ma sono scelte volontarie che rischiano di non intercettare tutto. E spesso si chiude la porta della stalla quando i buoi sono già scappati, cioè quando la spesa è già stata fatta. Per fermare il malaffare, servono le verifiche preventive».
Secondo Lorelli, «il periodo non è propizio». Perché? «Perché la politica ha ceduto le responsabilità ai dirigenti. I quali soffrono della cosiddetta “paura della firma”: si strombazza ovunque che i dirigenti pubblici non decidono come spendere i soldi per timore che la Corte possa chiedere loro conto. Non è vero, visto che spesso questi atti non ci vengono trasmessi. A livello nazionale interveniamo nel 2,5% dei casi, quando ci sono moltissime più situazioni di interessi non tutelati. Intanto, dal 2020, si continua a prorogare la norma che toglie responsabilità a tecnici e politici: è un lasciapassare che esclude il giudizio della Corte dei Conti e il risarcimento nei casi di negligenza. Al momento è ancora in vigore e dovrebbe scadere il 30 giugno: è l’emblema dell’eterna provvisorietà in cui la giustizia non dovrebbe trovarsi».

L'inaugurazione dell'anno giudiziario della Corte dei Conti del Piemonte, lo scorso 28 febbraio

Rischio bancarotta

Lorelli lancia un altro allarme: «Centinaia di comuni ed enti sono a rischio bancarotta per la mancata riscossione delle entrate: penso alla tassa sulle vetrine o alle bollette dell’acqua. O agli affitti delle case popolari. Ma, in generale, il recupero delle imposte comunali ha ritmi inferiori al 20%. Così aumenta l’impunità di chi non paga e Agenzia delle entrate e Guardia di finanza riescono a recuperare solo una minima parte».
Eppure la Corte rivendica un aumento dei recuperi, da 1,4 milioni nel 2020 a 3,3 milioni nel ’21. E lo scorso anno si è toccata quota 6,2 milioni: «Molti si sono fatti avanti con patteggiamenti e riti alternativi, anche in caso di cifre rilevanti. Poi c’è stata una maggiore attività di vigilanza da parte nostra: ci siamo accorti che tante amministrazioni procedevano al recupero su base volontaria. Ci sono capitati enti, ministeri compresi, che non avevano neanche iniziato a chiedere i soldi ai loro dipendenti infedeli. Oppure avevano previsto piani di rientro con rateizzazioni in tempi lunghissimi».

La Corte dei Conti aveva già criticato l'eccessivo uso dei cosiddetti "medici a gettone"

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