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L'allarme dei magistrati contabili
26 Marzo 2023 - 17:16
Quirino Lorelli, procuratore regionale della Corte dei Conti
Quirino Lorelli non indora la pillola. Anzi, la rende ancora più pesante quando parla di «enti pubblici senza controllo». E li chiama anche «buchi neri». Questo controllo, come procuratore della Corte dei Conti, spetterebbe a lui. Ma sostiene di non riuscire a farlo perché mancano le denunce.
Denunce crollate
Lo dicono i dati della stessa Corte, che altro non è che il tribunale che vigila su enti e amministratori pubblici: nel 2020 le denunce erano state 2.288, scese a 1.860 nel 2021 e crollate a 1.468 nel 2022. E l’anno scorso ci sono state solo 2 sentenze riguardanti sindaci. «Un calo preoccupante, confermato anche nel 2023: in due mesi e mezzo abbiamo aperto 251 vertenze».
Gli uffici pubblici hanno ritrosia a denunciare. E gli organi di controllo interni, come i revisori dei conti di Comuni, Città metropolitana e Regione, fanno un lavoro pessimo
Facendo una proporzione, si arriva a un totale di poco più di 1.200. Quindi una riduzione ulteriore: significa che nei Comuni e nelle loro società partecipate sono diventati tutti più attenti? «Credo che gli uffici pubblici abbiano ritrosia a denunciare. E gli organi di controllo interni, come i revisori dei conti di Comuni, Città metropolitana e Regione, fanno un lavoro pessimo. Ma il problema ancora più grosso è negli uffici che erogano fondi pubblici: quando fanno la revoca amministrativa, non la comunicano alla Corte dei Conti».
I casi di Arpea e Atc
Lorelli fa un esempio concreto: «La mancata comunicazione è molto frequente nei contributi per gli agricoltori, che arrivano per lo più dall’Europa: ogni anno l’Arpea, cioè l’Agenzia regionale per le erogazioni in agricoltura, eroga centinaia di milioni a decine di migliaia di soggetti (nel 2022 la cifra versata è stata di 663 milioni di euro, ndr). Ed è impossibile che siano tutti corretti: alcuni gonfiano gli ettari a loro disposizione, dichiarano terreni che non hanno o segnalano pascoli a grandi altezze per ottenere più fondi. Un fenomeno odioso su cui noi non riusciamo a intervenire: riteniamo che Arpea se ne accorga e che avvii le procedure di recupero in caso di truffe. Altrimenti, oltre alla beffa, avrebbe pure il danno perché sarebbe poi la Regione a dover ripagare la Comunità europea».
Un altro esempio è FinPiemonte, la società regionale che gestisce i fondi da destinare alle imprese. La Corte dei Conti ha fatto emergere una lunga serie di frodi ai danni di FinPiemonte, con 6 milioni spariti in Svizzera e un’inchiesta penale: «Fino al 2020 non avevamo un rapporto per quanto riguarda la revoca dei loro fondi. Siamo riusciti a ottenerlo solo negli ultimi tre anni».
Gli esempi continuano: «Gli affitti degli alloggi popolari sono uno dei buchi neri del Piemonte: qualunque azienda privata avrebbe chiuso con quei livelli di incassi. La Regione rimborsa i Comuni e Atc ma, tra morosità colpevoli e incolpevoli più l’inefficienza nel recupero, c’è un problema molto grosso».
Gli affitti degli alloggi popolari sono uno dei buchi neri del Piemonte: qualunque azienda privata avrebbe chiuso con quei livelli di incassi
«Il sistema ha fallito»
Il procuratore sostiene che il problema riguardi tutti i livelli degli enti pubblici: «Il sistema di controllo non funziona: ha fallito. Ora rischiamo che ci si ritorca contro quando non si riusciranno a rendicontare le opere del Pnrr. Un pericolo enorme per gli enti, che già sono alla canna del gas: che succede se non riescono a rendicontare correttamente i fondi ricevuti? Non si tratta di distrazioni di fondi e danni erariali ma di mancato rispetto delle leggi amministrative. E di controllo che non c’è e quindi non può impedire i casi di mala amministrazione».
Per essere più “tranquilli”, Comune e Città metropolitana di Torino hanno firmato protocolli d’intesa con la Guardia di finanza: «Sì, ma sono scelte volontarie che rischiano di non intercettare tutto. E spesso si chiude la porta della stalla quando i buoi sono già scappati, cioè quando la spesa è già stata fatta. Per fermare il malaffare, servono le verifiche preventive».
Secondo Lorelli, «il periodo non è propizio». Perché? «Perché la politica ha ceduto le responsabilità ai dirigenti. I quali soffrono della cosiddetta “paura della firma”: si strombazza ovunque che i dirigenti pubblici non decidono come spendere i soldi per timore che la Corte possa chiedere loro conto. Non è vero, visto che spesso questi atti non ci vengono trasmessi. A livello nazionale interveniamo nel 2,5% dei casi, quando ci sono moltissime più situazioni di interessi non tutelati. Intanto, dal 2020, si continua a prorogare la norma che toglie responsabilità a tecnici e politici: è un lasciapassare che esclude il giudizio della Corte dei Conti e il risarcimento nei casi di negligenza. Al momento è ancora in vigore e dovrebbe scadere il 30 giugno: è l’emblema dell’eterna provvisorietà in cui la giustizia non dovrebbe trovarsi».
L'inaugurazione dell'anno giudiziario della Corte dei Conti del Piemonte, lo scorso 28 febbraio
Rischio bancarotta
Lorelli lancia un altro allarme: «Centinaia di comuni ed enti sono a rischio bancarotta per la mancata riscossione delle entrate: penso alla tassa sulle vetrine o alle bollette dell’acqua. O agli affitti delle case popolari. Ma, in generale, il recupero delle imposte comunali ha ritmi inferiori al 20%. Così aumenta l’impunità di chi non paga e Agenzia delle entrate e Guardia di finanza riescono a recuperare solo una minima parte».
Eppure la Corte rivendica un aumento dei recuperi, da 1,4 milioni nel 2020 a 3,3 milioni nel ’21. E lo scorso anno si è toccata quota 6,2 milioni: «Molti si sono fatti avanti con patteggiamenti e riti alternativi, anche in caso di cifre rilevanti. Poi c’è stata una maggiore attività di vigilanza da parte nostra: ci siamo accorti che tante amministrazioni procedevano al recupero su base volontaria. Ci sono capitati enti, ministeri compresi, che non avevano neanche iniziato a chiedere i soldi ai loro dipendenti infedeli. Oppure avevano previsto piani di rientro con rateizzazioni in tempi lunghissimi».
La Corte dei Conti aveva già criticato l'eccessivo uso dei cosiddetti "medici a gettone"
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