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Uccelli in fuga dal cambiamento climatico: uno studio dell’Università di Torino lancia l’allarme

Studio UniTo: le specie di alta quota scompaiono, le aree protette non bastano più

Uccelli in fuga dal cambiamento climatico: uno studio dell’Università di Torino lancia l’allarme

Fonte: ig @riccardoalba426

Il cambiamento climatico sta spingendo gli uccelli sempre più in alto… ma la conservazione non riesce a stare al passo.
È questo ciò che emerge dallo studio condotto da Riccardo Alba, assegnista di ricerca, e Dan Chamberlain, professore del Dipartimento di Scienze della Vita e Biologia dei Sistemi dell’Università di Torino.

Lo studio, intitolato “Elevational shifts in bird communities reveal the limits of Alpine protected areas under climate change”, è stato realizzato in collaborazione con il Parco nazionale delle Alpi Cozie e ha analizzato, lungo un arco temporale di 13 anni, come stanno cambiando le comunità di uccelli nelle Alpi italiane, in risposta all’aumento delle temperature.

I risultati sono preoccupanti: il Community Temperature Index (CTI) – un indicatore che descrive lo stato di una comunità in base alla presenza di specie legate ad ambienti freddi o caldi – è aumentato proprio dove ci si aspettava maggiore stabilità, ovvero nelle aree protette delle Alpi Cozie.

A rendere ancora più sorprendente il dato è il confronto con le aree non protette, dove invece il CTI è rimasto stabile. In sostanza, le comunità di uccelli delle aree protette stanno diventando sempre più simili a quelle esterne, perdendo progressivamente le specie adattate alle basse temperature, le più sensibili al cambiamento climatico.

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La natura sta reagendo con una velocità impressionante: le foreste stanno risalendo di quota, i pascoli alpini vengono invasi dalla vegetazione, e le specie di alta montagna perdono habitat. Il fenomeno è particolarmente evidente nella zona del limite del bosco, un’area ecologicamente delicata dove si concentrano molte specie vulnerabili.

Secondo i ricercatori, se da un lato le aree protette favoriscono la risalita altitudinale delle specie, dall’altro non bastano più a garantire la sopravvivenza di quelle di alta quota, che rischiano di scomparire man mano che lo spazio adatto si riduce.

Il messaggio è chiaro: serve una nuova strategia di conservazione, capace di rispondere alle sfide poste dal riscaldamento globale. Tra le azioni più urgenti proposte dallo studio ci sono la gestione attiva degli habitat, l’uso di pascolo mirato per contenere l’avanzata della vegetazione arbustiva e il mantenimento della connettività ecologica tra fasce altitudinali.

In altre parole, non basta più proteggere: bisogna intervenire per guidare e sostenere il cambiamento, con strumenti flessibili e adattivi. Solo così sarà possibile garantire la resilienza della biodiversità alpina di fronte a un clima che cambia sempre più in fretta.

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