Dopo 18 anni dal delitto, i carabinieri hanno arrestato due dei tre esecutori materiali dell’assassinio di Giuseppe Gioffré, avvenuto a San Mauro Torinese l’11 luglio del 2004. Il terzo uomo, Stefano Alvaro, era finito in manette anni fa ed è poi stato condannato per l’omicidio. A consentire di fare piena luce su quanto avvenuto quella calda domenica d’estate, sono stati alcuni accertamenti di natura tecnico-scientifica, effettuati nel maggio 2021 dai carabinieri del Ris. I militari, adottando nuove tecnologie informatico-dattiloscopiche su alcuni reperti (guanti di lattice, una tanica e una bottiglietta d’acqua), trovati vicino all’auto bruciata utilizzata per commettere il delitto, hanno individuato gli altri presunti componenti del gruppo di fuoco. In carcere sono finiti due affiliati alla cosca degli Alvaro; si tratta di Giuseppe Crea, 44 anni e di Paolo Alvaro di 52. L’omicidio di Giuseppe Gioffrè ha radici lontane, una vecchia storia di ‘ndrangheta che si trascinava dal 1964. A quei tempi Gioffré era un panificatore particolarmente capace e in Aspromonte, dove risiedeva, la sua attività ne aveva oscurate altre, però protette dai boss delle famiglie Alvaro-Dalmato. Due esponenti della cosca, il cui boss Rocco Salvatore Alvaro, conosciuto come “U ‘vampiru” aveva dato ordine di ricondurre Gioffrè a più miti pretese (esigendo un forte pizzo o cessando l’attività), si recarono al forno e minacciarono il panettiere con modi spicci. Quest’ultimo decise di reagire e, impugnata una pistola, sparò e uccise gli emissari di “U ‘vampiru”, poi si consegnò ai carabinieri. Fu condannato a nove anni di reclusione, ma mentre era detenuto, un commando della cosca sterminò la sua famiglia, uccidendo la moglie e un figlio e ferendo altri due bambini, in quella che le cronache ricordano come la strage di Sant’Eufemia. Rilasciato, Gioffrè lasciò per sempre la Calabria, si trasferì a San Mauro Torinese e, fino alla pensione, lavorò in Fiat. Si risposò e proprio mentre era seduto su una panchina vicino casa insieme alla moglie, venne ammazzato brutalmente con quattro colpi di pistola. Una vendetta che si era consumata dopo 18 anni. Un delitto pianificato e affidato ad un gruppo di fuoco giunto appositamente dal Sud. Dopo aver sparato a Gioffrè i tre killer abbandonarono e diedero fuoco all’auto (una Fiat Uno grigia risultata rubata) in un bosco a Mezzi Po, per allontanarsi a bordo di un’altra vettura. Ma le fiamme non hanno cancellato alcune prove decisive che i carabinieri del Ris, dopo 18 anni, sono ancora riusciti a trovare.
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