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L’imprenditore ucciso a fucilate da un operaio

Mathi
Ora c’è un fermato, c’è l’arma ma all’appello mancano ancora un movente preciso e, forse, anche dei complici. Martedì sera, dopo un interrogatorio record iniziato in pratica il giorno precedente, Davide Osella Ghena, operaio incensurato 30enne di Mathi, assistito dall’avvocato Paolo Campanale, è crollato e ha ammesso le proprie responsabilità nell’omicidio dell’imprenditore albanese Fatmir Ara. Una confessione che però lascia molti punti interrogativi, in quanto l’uomo ha più volte cambiato versione, non solo sulla dinamica ma anche sulle motivazioni del delitto attribuendole, via via, a questioni sentimentali, di lavoro, economiche, legate alla droga e, addirittura, a una violenza sessuale.

Questa mattina è prevista l’udienza di convalida del fermo ma l’impressione è che il lavoro dei carabinieri sia lontano dall’essere terminato, non solo perché occorre ancora ricostruire con precisione quanto avvenuto ma anche perché dietro alla confusione nella confessione dell’operaio ci potrebbe essere la volontà di coprire le responsabilità di qualche complice. Anche perché fin dal momento del ritrovamento del corpo dell’imprenditore, gli investigatori hanno ritenuto improbabile che ad agire potesse essere stata una sola persona. A mettere gli investigatori sulle tracce dell’operaio è stato lui stesso, che si è presentato spontaneamente in caserma come amico della vittima, forse sperando di sviare i sospetti ma ottenendo l’esatto contrario.

Infatti ai carabinieri è bastato verificare i filmati delle telecamere di videosorveglianza nella zona del campo di San Carlo Canavese in cui è stato commesso l’omicidio, per trovare la prima prova. Ovviamente gli apparecchi non erano in quel prato isolato, ma nelle strade della zona. Una delle prime mosse dei carabinieri, nelle ore successive alla scoperta del corpo, è stata quella di acquisire le immagini dei varchi dei comuni limitrofi, delle telecamere pubbliche e di quelle private. Centinaia e centinaia di ore di filmati e proprio in uno dei video è stata trovata la traccia sperata. A quel punto, lunedì, Osella Ghena è rimasto in caserma dove è stato sentito per oltre 12 ore.

Alla luce dell’andamento dell’interrogatorio, è poi stato “trasferito” in procura dove è andato in scena un secondo, drammatico interrogatorio che ha messo a dura prova lui, il suo avvocato Paolo Campanale e la pm Elena Parato: oltre 17 ore, durante la notte e il giorno successivo, fino al tardo pomeriggio. «Il sospettato - si legge in un comunicato stampa di procura e carabinieri - ha modificato la propria versione più volte, anche a fronte delle puntuali contestazioni degli inquirenti, fino a confessare l’omicidio, fornendo precise indicazioni per il recupero del telefono della vittima, gettato a molta distanza dal luogo dell’omicidio, dei guanti utilizzati per commettere il delitto e dell’arma impiegata, regolarmente detenuta».

Si tratta, come già emerso in seguito all’esame autoptico, di un fucile a pallettoni con cui ha sparato in faccia ad Ara almeno tre colpi. Tra le tante ricostruzioni fornite da Osella Ghena, anche quella di un approccio sessuale nei suoi confronti da parte dell’imprenditore: parole che vengono prese con beneficio d’inventario dagli inquirenti, anche alla luce del fatto che Ara ha avuto quattro figli da due diverse compagne. Sullo sfondo resta sempre la seconda “attività” di Ara, arrestato due anni fa con l’accusa di essere a capo di una organizzazione dedita al traffico della cocaina.

E anche la droga è comparsa nelle parole di Osella Ghena, insieme a un presunto debito non saldato. A Mathi, i genitori dell’operaio, chiusi nella loro abitazione di fronte alla parrocchia, si sono comprensibilmente trincerati dietro un «no comment», respingendo gentilmente ma con fermezza i giornalisti. E nessun commento, per ora, neanche dalla famiglia di Fatmir Ara, chiusa nel proprio dolore e assistita in questa fase dall’avvocato Celere Spaziante.
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