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IL PROCESSO

Strage di Rivarolo, il killer non si presenta in aula

Al processo emerge un'incredibile retroscena: i servizi sociali sapevano dell’arma ma nessuno chiamò i carabinieri

StrageTarabella

La strage si poteva evitare? È questa la domanda che ieri un po’ tutti si sono posti in aula a Ivrea

I servizi sociali sapevano che quello che sarebbe poi diventato l’autore della strade di Rivarolo, aveva una pistola in casa. Ma nessuno l’ha segnalato alle forze dell’ordine perché lui aveva garantito di tenere separati arma e proiettili.

La strage si poteva evitare? È questa la domanda che ieri un po’ tutti si sono posti in aula a Ivrea, durante il processo per la strage di Rivarolo, al quale proprio ieri avrebbe dovuto testimoniare il killer, Renzo Tarabella, 85 anni, l’uomo che il 10 aprile del 2021, uccise la moglie Maria Grazia Valovatto, 79 anni, il loro figlio disabile Wilson, 51 anni, e i padroni di casa dell’appartamento dove vivevano ovvero i coniugi Osvaldo Dighera, 74 anni, e Liliana Heidempergher, 70 anni. L’imputato, atteso per la testimonianza non si è presentato per motivi di salute.

Le testimonianze però hanno sollevato un dubbio lacerante sulla questione della pistola detenuta, all’epoca dei fatti, illegalmente dall’imputato, l’arma con cui ha compiuto la strage. Daniela Andreucci, nel 2014, come oss assisteva il figlio autistico dell’assassino. Ha riferito in aula come in famiglia «c’era un brutto clima. Spesso i due coniugi piangevano lamentando una situazione insopportabile per via del figlio disabile e della loro età avanzata con problemi di salute. Un giorno Renzo mi disse che voleva farla finita, avrebbe caricato tutti in macchina e si sarebbero gettati nell’Orco. La cosa peggiore fu quando mi mostrò la pistola che aveva in casa, carica, la teneva in cucina di giorno e sul comodino di notte. Io ne fui spaventata, denuncia la situazione alla mia referente e al CISS 38, i servizi sociali». La segnalazione era giunta al servizio sociale, come conferma anche l’assistente sociale che ha affiancato la famiglia Tarabella dal 2008 al 2017, ovvero Rossana Vella. «Renzo mi contattò assicurandomi che avrebbe tenuto la pistola separata dal caricatore e in cassaforte. Mi sono tranquillizzata, non avevo motivo per non credergli e poi non volevo rovinare il rapporto che si era creato». «Con una famiglia dove c’è un clima tale, con un soggetto dal pessimo carattere, che ha manifestato intenti suicidi - commenta l’avvocato di parte civile della famiglia Dighera, Sergio Bersano - dopo una segnalazione della presenza di un’arma carica ci si sarebbe aspettato una segnalazione alle forze dell’ordine, invece, non fu fatto nulla. Siamo sconcertati dalle parole dell’assistente sociale. Senza una pistola non credo avrebbe potuto fare la strage che ha fatto».

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