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Dalla Decauville a Campo Smith

Bardonecchia e l’inarrestabile trasformazione del paesaggio

Dalla memoria al non luogo. E alla strage di alberi

Bardonecchia e l’inarrestabile trasformazione del paesaggio

Avere nostalgia dei paesaggi del passato si può. E’ la nostra arma della memoria  contro la rassegnazione per  combattere le brutture, gli insulti al paesaggio, le cafonaggini costruttive, le pacchianerie degli “arredi urbani”, le canzonette invadenti ad alto volume nei luoghi dove dovrebbe regnare il silenzio per ascoltare le voci della natura. Le linee di un paesaggio, un bosco , un laghetto di montagna, un sentiero, le creste dei monti fanno parte della nostra memoria e quindi della nostra  identità.

La passeggiata Decauville a Bardonecchia è giustamente annoverata tra le bellezze , residue, di questa cittadina alpina. Sul filo dei duemila metri, lunga oltre cinque chilometri, collega, tutta  in piano, la località Bacini sul versante dello Jafferau con la diga di Rochemolles. Fu costruita tra gli anni dieci e venti del secolo scorso dalle Ferrovie dello Stato  per il trasporto del cemento e del ferro per la costruzione dell’imponente diga che sarebbe servita a produrre energia elettrica per l’elettrificazione della ferrovia che collega l’Italia alla Francia attraverso il tunnel del Frejus. Deve il suo nome all’ing. Paul Decauville che presentò nel 1878 la ferrovia portatile a scartamento ridotto. Lungo quella che oggi è una passeggiata vennero stesi i binari per il trenino che, causa neve e valanghe, funzionava solo nel periodo estivo. La strada scorre lungo il pendio della montagna ,sostenuto a monte da muri di sostegno, quasi tutti a secco , artefatti tradizionali che rivelano la grande maestria dei lavoratori impiegati, quasi tutti  locali. La strada larga dai due ai tre metri corre tra maestosi centenari larici ,pini e abeti, dando a chi la percorre un senso di pace e di bellezza.

 La sorpresa però coglie il turista quando, all’inizio della passeggiata, si imbatte in un cartello/ manifesto del comune di Bardonecchia in cui si ribadisce  la funzione di protezione delle foreste contro le valanghe e i movimenti franosi, autolodandosi per la “attenta e rigorosa gestione” che prevede che “le foreste debbano mantenersi stabili e resilienti(sic!)". Ma la sorpresa e lo sgomento colgono gli escursionisti quando dopo qualche centinaio di metri si cominciano a vedere, per almeno tre chilometri centinaia, forse migliaia, di alberi tagliati sul ciglio a valle della strada. Una vera mattanza. Fa orrore vedere questi giganti della montagna caduti e lasciati per terra alla rinfusa. Uno spettacolo che stringe il cuore, una strage degli innocenti affidata al Consorzio Forestale Alta val di Susa a cui hanno assegnato il compito di migliorare, secondo il piano di sviluppo rurale misura 8 finanziato dalla Regione, la redditività delle foreste. Declinata nel “sostegno agli investimenti destinati ad accrescere la Resilienza (con la maiuscola, tanto questo nuovo termine deve incutere rispetto e reverenza) ed il Pregio ambientale e degli ecosistemi forestali”.

In altre parole si mette in atto una strage degli alberi per aumentare la cosiddetta resilienza della foresta e il pregio ambientale. Si fa veramente fatica a decifrare le complesse strategie degli amministratori comunali.  Per salvaguardare e mantenere efficienti le foreste si devono sicuramente tagliare degli alberi ma con modalità selettive, graduali e diluite nel tempo. Non si può attuare un intervento massivo senza tenere conto del danno ambientale e paesaggistico, solo perché l’intervento è finanziato. La cosiddetta resilienza, inoltre, sarebbe meglio attuata se si facesse ripulire il sottobosco dalle ramaglie, rami e  tronchi secchi caduti, che potrebbero diventare facile innesco di incendi e mandare in fumo l’intera foresta come già accaduto in bassa Valsusa.

I larici che hanno una vita di circa 400 anni, i pini e gli abeti di circa la metà, sono alberi a lenta crescita e per decenni la Decauville non sarà più come prima ,ammesso che vengano ripiantati gli alberi abbattuti. I nuovi visitatori non potranno vederla per come era prima. Solo quelli delle generazioni più anziane che conservano il ricordo di come era la montagna e come erano i paesi alpini possono fare il raffronto con i luoghi di oggi, nati dal rapporto malato tra tradizione e modernità, tra cultura e   ceto degli amministratori locali. Questo rapporto patologico ha prodotto dei luoghi che non sono più quelli di una volta ma neppure quelli che vorrebbero essere, sono dei non luoghi. Come è successo al Campo Smith  già luogo più identitario di Bardonecchia, deturpato da un ecomostro dalle dimensioni e cubatura mostruose e dalla indefinibile bruttezza. Ha irrimediabilmente modificato il paesaggio e straniato lo spirito del posto che, prima degli interventi “olimpici”, con le sue casette di legno per i servizi allo sci , serbava la memoria del primo trampolino in Italia di salto con gli sci. Costruito nel 1909 dall’italiano Paolo Kind e dal norvegese Harald Smith che detenne per anni il record mondiale di salto con gli sci. Ora al suo posto c’è un megaristorante-bar che si chiama col nome di Smith. Tutto il resto del campo è diventato una specie di enorme lunapark comprensivo di montagne russe e parcheggi asfaltati. I pochi spazi rimasti a prato sono occupati dagli sdraio delle madamine  che in costume da bagno si  crogiolano al sole.

 Purtroppo questi non luoghi avanzano sempre di più in Italia, mangiandosi la grande bellezza che nella maggior parte dei casi è nelle mani di amministratori ignoranti e ignavi che, senza soluzione di continuità e di colore politico, stanno da anni, salvo lodevoli eccezioni, contribuendo a cambiare quello che era il bel paese in un insieme di luoghi banali.

 

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