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A Fiano
23 Marzo 2025 - 08:00
Nella sua storia, lunga circa 800 anni, quel castello ne avrà passate parecchie di "guerre di campanile". Ma è probabile che la più curiosa sia quella andata in scena fra il 2014 e il 2025, fra progetti, cantieri, allagamenti e battaglie legali fra il Comune e l'Unione montana di cui fa parte lui stesso. Con i giudici del Tar che, alla fine, hanno dato ragione all'ente proprietario del maniero.
Per capire questa storia intricata, bisogna fare un passo indietro e partire dall'inizio. Cioè dal castello, che si trova a Fiano, nelle Valli di Lanzo: costruito ai tempi della dominazione dei marchesi del Monferrato, alla fine del '200, è poi passato nel 1305 ai principi d'Acaja (qui la storia completa, raccontata dal professor Giancarlo Chiarle). Nei secoli successivi è stato distrutto e ricostruito, passando più volte di mano: alla fine, nel 1862, gli Arcour, divenuti una delle principali famiglie della nobiltà torinese, vendettero i possedimenti di Fiano a Vittorio Emanuele II, che a sua volta donò il castello al Comune. L’edificio fu così parzialmente restaurato (alla metà del secolo era «quasi tutto in rovina») per ospitare uffici e scuole.
Nel ricostruire la storia, bisogna poi "saltare" al 2014, quando il Comune di Fiano decide di far ristrutturare lo storico edificio. Come descritto nella sentenza del Tar, l'ente locale delega l’Unione Montana Valli di Lanzo, Ceronda e Casternone (di cui fa parte) a occuparsi della "valorizzazione" del castello all'interno del Piano territoriale integrato "Paesaggi reali": un intervento finanziato con un contributo regionale di 42mila euro, 125mila della Compagnia di SanPaolo, 9mila dell'Unione Montana e 344mila dal Comune. Totale, 520mila euro.
Partono i lavori, affidati all'impresa Ottaviano srl e conclusi nel 2017. L'amministrazione di Fiano si accorge subito che qualcosa non va e lo fa notare con lettere e carte bollate: Fiano si rivolge all'ingegner Giancarlo Di Bella, che nella sua relazione del 2021 descrive "difformità e vizi dell’intervento eseguito sul castello". Ci sono problemi nel nuovo solaio fra piano terra e primo piano, i serramenti sono "inadeguati, viziati, montati male e scrostati", l'intonaco si stacca dalla facciata, la pompa di calore non funziona ed è pure diversa da quello prevista. Infine manca l'adeguata areazione nel sotterraneo, soggetta a umidità e allagamenti. E, per sistemare tutto, il tecnico sostiene che servano altri 207mila euro.
Il Comune ne chiede conto all'Unione Montana, dando il via a un processo civile che si conclude con un risarcimento di 14mila euro. Troppo poco per l'amministrazione di Fiano, che si rivolge al Tar per ottenere più soldi: davanti ai giudici amministrativi l'Unione si difende dicendo di aver fatto solo da "mero esecutore materiale" e che comunque la richiesta è tardiva perché "effettuata a distanza di quattro anni dalla fine lavori ed i vizi, se sussistenti, sarebbero pertanto da imputare al fatto che il Comune abbia lasciato l’immobile inutilizzato senza attivare impianti elettrici e di riscaldamento". I giudici, per chiarire tutto, si affidano a un altro esperto, l'ingegner Antonella Cavaglià: nella sua relazione, la professionista sta nel mezzo e spiega che i vizi lamentati dal Comune ci sono davvero, aggiungendo pure una porta montata nel posto sbagliato. Ma attribuisce i problemi dell'interrato anche a ulteriori allagamenti "causati dalla mancata messa in funzione, mediante allaccio all’impianto elettrico, delle due pompe sommergibili installate dall’impresa appaltatrice durante i lavori". Però, secondo Cavaglià, il costo per risolvere i problemi sarebbe inferiore rispetto a quanto ipotizzato dal collega Di Bella.
Tradotto, le colpe ci sono ma sono sia di Fiano sia dell'Unione. Che, come sottolineano i giudici, non è stata un mero esecutore ma ha agito in autonomia "sia nell’affidamento degli incarichi di progettazione, direzione ed esecuzione dei lavori, sia nella successiva fase di esecuzione dell’intervento". E non si può parlare di richiesta tardiva, visto che l'amministrazione comunale ha iniziato a lamentarsi appena finiti i lavori, nel 2017. Quindi l'Unione Montana deve pagare, anche se meno di quanto richiesto: i giudici l'hanno condannata a risarcire 95mila euro di danni al Comune, pagare 3mila euro di spese di lite e coprire pure quasi 5mila euro della consulenza tecnica, per un totale di quasi 103mila euro.
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