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Il processo nel canavese
08 Maggio 2025 - 11:05
Bancarotta fraudolenta: tre condanne in appello per la famiglia Musca
Paolo Busso, ex agente della Polizia Locale di Volpiano, si trova nuovamente al centro di un ciclone giudiziario che sembrava essersi placato. A distanza di quasi tre anni dalla sua sospensione dal servizio, la Corte di Cassazione ha annullato con rinvio la sentenza d'appello che lo aveva assolto, riaccendendo i riflettori su una storia che coinvolge la 'ndrangheta e mette in discussione l'integrità delle istituzioni locali.
La decisione della Suprema Corte di annullare la sentenza d'appello che aveva assolto Busso non è solo un colpo di scena, ma un segnale chiaro che la giustizia non può chiudere un occhio di fronte a certi comportamenti. Il reato di accesso abusivo al sistema informatico, di cui è accusato Busso, non può essere considerato di "particolare tenuità" quando è finalizzato ad aiutare un soggetto condannato per mafia. Questo è il punto cruciale sollevato dal Procuratore generale Lucia Musti e dall'Avvocato generale Giancarlo Avenati Bassi, che hanno visto accolto il loro ricorso.
Il personaggio al centro di questa intricata vicenda è Giuseppe Vazzana, condannato a 6 anni e 8 mesi per associazione mafiosa nel processo Platinum. Un processo che ha svelato una rete di legami tra la 'ndrangheta e il mondo istituzionale nel Chivassese e nel Volpianese. Secondo le accuse, Busso avrebbe fatto sparire sei multe per conto di Vazzana e avrebbe ingannato una funzionaria dell'anagrafe per ottenere l'indirizzo di un ex comandante dei vigili, Franco Roffinella, inseguito da Vazzana per un debito di 5 o 6 mila euro. Un comportamento che, secondo la DDA di Torino guidata dal pm Valerio Longi, non può essere liquidato come una semplice leggerezza.
La decisione della Cassazione non riguarda solo il destino giudiziario di Busso, ma tocca corde più profonde legate alla percezione della legalità nei piccoli comuni. A Volpiano, l'operazione della DIA del maggio 2021 aveva già sollevato un polverone, e ora la riapertura del caso Busso riapre una ferita mai del tutto rimarginata. Il Comune, guidato dal sindaco Giovanni Panichelli, si era costituito parte civile, e il risarcimento di mille euro potrebbe tornare in discussione. Una cifra simbolica, certo, ma che rappresenta la volontà di difendere l'onorabilità delle istituzioni locali.
In tribunale, Vazzana aveva cercato di minimizzare il rapporto con Busso, definendolo un semplice amico con cui scherzava. Ma le prove raccolte e le valutazioni dei giudici raccontano una storia diversa. Busso non avrebbe solo "scherzato": avrebbe messo la sua divisa al servizio di chi, quella divisa, la disprezza. Un'accusa grave, che se confermata, getterebbe un'ombra pesante sull'intero corpo della Polizia Locale di Volpiano.
La riapertura del caso Busso da parte della Cassazione è un monito che la giustizia non può permettersi di ignorare le infiltrazioni mafiose, anche quando si manifestano in forme apparentemente minori. La "particolare tenuità" non può essere una scusa per chiudere gli occhi di fronte a comportamenti che minano la fiducia dei cittadini nelle istituzioni. La giustizia deve essere inflessibile, soprattutto quando si tratta di difendere i valori fondamentali su cui si basa la convivenza civile.
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