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Opere d’arte e oggetti sacri rubati: archiviate le accuse al prete esorcista

Monsignor Marino Basso, parroco di Pecetto, era stato identificato come figura centrale dell’indagine

Opere d’arte e oggetti sacri rubati: archiviate le accuse al prete esorcista

È finita senza colpevoli l’indagine sulla sparizione di opere d’arte e oggetti sacri dal Duomo di Torino e dall’ex convento francescano di Susa, poi rivenduti in mercatini frequentati da collezionisti di arte. Il procedimento, avviato nel 2021 dalla Procura di Torino, si è concluso nei giorni scorsi con un’archiviazione decisa dal gip Giorgia De Palma, su richiesta del pm Elisa Buffa. La motivazione: i reati contestati, furto e ricettazione, sono ormai prescritti. Tra gli indagati figuravano monsignor Marino Basso, parroco di Pecetto e uno dei pochi esorcisti ancora attivi in Italia, due fratelli restauratori e un commerciante. Il caso era nato dal ritrovamento, in un mercatino dell’antiquariato a Borgo d’Ale (Vercelli), di un dipinto risultato rubato anni prima dall’ex convento di Susa, oggi trasformato in una caratteristica boutique-hotel.

Da quel momento, le indagini avevano portato alla scoperta di altre sparizioni sospette: circa sessanta pezzi, tra cui due pregiati arazzi fiamminghi, un tempo custoditi nei locali della Consolata per ragioni di sicurezza dopo l’incendio della Cappella della Sindone del 1997. Don Basso era stato identificato come figura centrale dell’indagine per via dei suoi incarichi passati: tra il 2006 e il 2014 aveva infatti ricoperto il ruolo di rettore del santuario della Consolata e officiato a lungo anche nella diocesi di Susa. A lui si collegavano anche i due fratelli restauratori — uno dei quali abitava proprio con il sacerdote — e un antiquario del torinese. I carabinieri del Nucleo Tutela del Patrimonio Culturale avevano anche eseguito una perquisizione a Villa del Sacro Cuore, la residenza del prelato a Pecetto: all’interno furono ritrovate alcune opere, ma nessuna di particolare valore o tra quelle scomparse. Degli arazzi fiamminghi, stimati come i beni più pregiati, nessuna traccia. Col passare del tempo e senza nuovi riscontri investigativi, la Procura ha dovuto fare i conti con la prescrizione. I presunti furti risalirebbero infatti al periodo compreso tra il 2013 e il 2014: troppo lontani nel tempo per poter procedere. La conseguenza è stata l’inevitabile archiviazione del fascicolo e la chiusura dell’inchiesta. Le opere rubate restano senza autore. E senza giustizia.

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