l'editoriale
Cerca
Il processo
27 Ottobre 2025 - 08:00
Nel tribunale di Ivrea l’eco di quella notte torna ogni volta che qualcuno pronuncia il nome di Khalid Lakhrouti. Le luci al neon, le voci che si abbassano, i monitor che mostrano le immagini di un corpo steso a terra, una coperta che diventa una trappola. È il 10 febbraio 2024, Salassa, via Cavour. Un uomo di quarant’anni, disabile e tossicodipendente, muore durante un rituale islamico di liberazione. Oggi quella stanza è diventata un’aula, e quella preghiera un capo d’imputazione per omicidio volontario premeditato. Davanti alla Corte d’Assise presieduta da Stefania Cugge, sfilano volti che si conoscono da sempre. Parenti, fedeli, testimoni. C’è Aziz, operaio, chiamato a leggere i versetti del Corano su chi si dice posseduto dai Jinn, spiriti di fuoco citati nel libro sacro. Parla piano, con un tono che non conosce esitazioni: «Io credo negli Jinn», dice. E poi aggiunge, quasi per difendersi: «Ma Khalid non era posseduto. Ho letto i versi e non ha reagito. Era malato, non indemoniato». La Ruqyah, spiega, è una preghiera, non una lotta. Ma nei filmati visti in aula sembra tutt’altro: un uomo a terra, trattenuto, lo zio — l’imam di Cuorgnè — che prega con un microfono acceso e la voce che si rompe nel suono metallico delle casse. Khalid aveva vissuto anni difficili. La droga, il Sert, un incidente nel torrente Orco che gli aveva spezzato il collo e la vita. Una placca di titanio, un passo rigido, la testa piena di voci. Diceva di sentire due Jinn: “uno della forza e uno della saggezza”. Vedeva nel male la spiegazione di tutto, anche dell’amore perduto per Sara Kharmiz, l’ex moglie che aveva denunciato per violenze e che ora siede tra gli imputati «Io non c’ero», ripete. «Non ho fatto nulla». Ma quella notte, per l’accusa, era lì. Secondo i medici, Khalid è morto per asfissia meccanica. Legato, avvolto in una coperta, trattenuto per ore. Non la fede lo ha ucciso, ma l’assenza d’aria. Eppure in aula nessuno riesce a pronunciare la parola “delitto” senza abbassare lo sguardo. Perché in questa storia non c’è solo il confine tra fede e fanatismo, ma quello, più sottile, tra amore e paura. Lo zio, Abdelrhani Lakhrouti, imam stimato nella comunità, resta al centro del processo. Uomo di preghiera, chiamato a liberare il nipote dal male, è accusato di aver oltrepassato ogni limite. Le sue parole, registrate nel microfono quella notte, sono ora trascritte negli atti. E ogni volta che in aula partono le immagini, l’aria si fa più pesante. Il prossimo a parlare sarà Amin, 17 anni, figlio di Nourddine Lakhrouti, fratello della vittima. Era in casa. Ha visto tutto, ma non ha mai parlato. Ora la psicologa ha dato il via libera: potrà testimoniare in audizione protetta. Sarà la sua voce a dire chi pregava e chi tratteneva, se davvero quella notte si cercava di salvare Khalid o di uccidere lo Jinn che tutti credevano dentro di lui.
I più letti
L'associazione aderisce all'Istituto dell'Autodisciplina Pubblicitaria - IAP vincolando tutti i suoi Associati al rispetto del Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale e delle decisioni del Giurì e de Comitato di Controllo.
CronacaQui.it | Direttore responsabile: Andrea Monticone
Vicedirettore: Marco Bardesono Capo servizio cronaca: Claudio Neve
Editore: Editoriale Argo s.r.l. Via Principe Tommaso 30 – 10125 Torino | C.F.08313560016 | P.IVA.08313560016. Redazione Torino: via Principe Tommaso, 30 – 10125 Torino |Tel. 011.6669, Email redazione@cronacaqui.it. Fax. 0116669232 ISSN 2611-2272 Amministratore unico e responsabile trattamento dati e sicurezza: Beppe Fossati
Registrazione tribunale n° 1877 del 14.03.1950 Tribunale di Milano
La società percepisce i contributi di cui al decreto legislativo 15 maggio 2017, n. 70. Indicazione resa ai sensi della lettera f) del comma 2 dell’articolo 5 del medesimo decreto legislativo..