Cerca

Le tragedie di Alfieri, quell’animo inquieto che odiava il Piemonte

vittorio alfieri

Volli, e volli sempre, e fortissimamente volli… quando Vittorio Alfieri scrisse queste parole a Ranieri dÈ Calzabigi, non immaginava di certo che la sua opera poetica e umana venisse trasmessa ai posteri riassunta così. Un modo fascinoso, per carità, ma davvero corrispondente all’animo del conte astigiano? Difficile dirlo, anche perché Alfieri si impegnò per tutta la vita a costruire il mito di se stesso, ed alla fine quella tripletta di “volli” faceva parte del personaggio. Volere è potere, secondo un luogo comune: e per Alfieri è calzante anche questo motto. Innanzi tutto, però, mettiamo qualche data per comprendere meglio Vittorio Amedeo Alfieri: egli nacque ad Asti nel 1749 e morì a Firenze nel 1803.

Attraversò, cioè, tutta la seconda metà del Secolo XVIII, nel quale l’Ancien Régime venne a morire, sommerso dall’onda rivoluzionaria. Ed egli un po’ rivoluzionario si sentiva davvero, perché tutte quelle cerimonie galanti del secolo di Maria Antonietta lo disgustavano (“Non mi piacque il vil mio secol mai”, ebbe a scrivere). Era un rude piemontese, d’altronde. E, come molti altri suoi conterranei doc, per tutta la vita odiò il Piemonte e la sua lingua madre, il piemontese. Un odio acceso, che gli fece affermare più volte la propria volontà di “spiemontesizzarsi”.

Non a caso, dopo una vita inquieta, scelse Firenze come sua patria, con l’intento di purgare il peccato originale di esser nato ad Asti e di vivere nella città che rese grande la lingua italiana. Come tutti i nobili subalpini di allora, conosceva infatti il francese e il piemontese, ma poco l’italiano, che era una lingua in larga parte straniera, usata per lo più nei documenti ufficiali e nella poesia, ma assai poco nel quotidiano. Lo dovette studiare, e soltanto con lo studio apprezzò la lingua di Dante, con il quale è accomunato da una sepoltura in Santa Croce (anche se quella di Dante è un semplice cenotafio). Vittorio Alfieri si considerò il frutto delle libertà intellettuali del suo secolo: aborrendo la tirannide (parola che per Alfieri indicava qualsiasi cosa, umana o naturale, si opponesse al suo genio) si dedicò alla visita dell’Europa, viaggiando di qua e di là. Amava Rousseau e Voltaire, ma si sentì più propenso a superare l’illuminismo asservito al potere, ponendosi come uno dei primi intellettuali romantici d’Europa.

Intessé una relazione sentimentale celebre, quella con la contessa d’Albany, alias Luisa di Stolberg, che in linea teorica sarebbe stata la moglie del pretendente al trono inglese, Carlo Edoardo Stuart. Teoricamente, perché in pratica fu amante e convivente del fosco conte astigiano. I due si incontrarono a Firenze e fu amore a prima vista, perché accomunati dagli stessi ideali. Dal 1788 l’Albany, ormai vedova, seguì Alfieri nelle sue peripezie e curò la pubblicazione postuma delle opere del poeta, che sono in verità moltissime anche se condensate in un momento particolare della sua vita: dal Saul alla Mirra, dalla Sofonisba al Bruto, capolavori della tragedia in lingua italiana. I due amanti finirono in Francia, dove furono sorpresi dalla Rivoluzione francese.

Il marito fu affascinato da quel momento storico, che stava abbattendo l’odiosa tirannide dal trono; ma, non appena comprese che la tirannide tanto deprecata sarebbe stata sostituita da una nuova oppressione, quella repubblicana, si schierò apertamente contro la Rivoluzione: nel Misogallo, che scrisse per smascherare la falsa rivoluzione, affermò: «Il mio nome è Vittorio Alfieri: il luogo dove io son nato, l’Italia: nessuna terra mi è Patria. L’arte mia son le Muse: la predominante passione, l’odio della tirannide; l’unico scopo d’ogni mio pensiero, parola, e scritto, il combatterla sempre, sotto qualunque o placido, o frenetico, o stupido aspetto ella si manifesti o si asconda».

Resta aggiornato, iscriviti alla nostra newsletter

Logo Federazione Italiana Liberi Editori L'associazione aderisce all'Istituto dell'Autodisciplina Pubblicitaria - IAP vincolando tutti i suoi Associati al rispetto del Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale e delle decisioni del Giurì e de Comitato di Controllo.