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Tra ginnasio e guerra: così Beppe Fenoglio raccontò le Langhe

fenoglio

Aveva la faccia langarola, Beppe Fenoglio. Un po’ allungata, con il naso “alla Cirano” e due occhi che ti fissano penetranti. Una faccia inconfondibile, di uomo abituato al duro travaj. È nato a due passi dal duomo di Alba, figlio di Amilcare e Margherita, il 1° marzo 1922. La sua casa è indicata da una lapide, ed oggi si trova nel cuore di una cittadina vivace, nella quale il sapore suadente del vino e del tartufo hanno annebbiato il ricordo doloroso della guerra.

Studiò al liceo ginnasio Govone, il più noto di Alba, con professori di livello, come Leonardo Cocito e Pietro Chiodi. Gli anni del liceo, narrati in “Primavera di bellezza”, furono per Fenoglio il momento nel quale egli formò la propria coscienza e si dichiarò, sebbene non a voce alta, antifascista. Ebbe modo di dimostrare ciò in cui credeva nel 1943, quando tutta Italia - a ben dire - si schierò, da una parte o dall’altra. Erano tempi in cui le mezze misure non piacevano a nessuno, anni che ci hanno segnato profondamente, dando al nostro paese la sua attuale identità. Per Fenoglio, lo schieramento fu quello partigiano, prima con i “rossi” – le Brigate Garibaldi - e poi con i badogliani della Seconda Divisione Langhe di Enrico Martini.

Il suo areale era limitato ad un quadrilatero compreso tra il Mango, Murazzano, Mombarcaro e Trezzo Tinella. Un piccolo fazzoletto di colline ripide, irte di vigneti e macchie boscose, nelle quali la lotta partigiana era cascina per cascina. Da lì, alla sfortunata vicenda della Repubblica di Alba, tra il 10 ottobre e il 2 novembre 1944, ricordata da Beppe nel suo noto romanzo “I ventitré giorni della città di Alba”. La guerra finì, ma non finì la Resistenza, perché le vicende partigiane continuarono a popolare i romanzi di Fenoglio e la politica della incipiente Repubblica (a proposito, Fenoglio al referendum votò monarchia). Nacquero così, uno dopo l’altro, i romanzi ”Una questione privata” e “Il partigiano Johnny”, piccole storie nella grande storia, rese monumentali dallo stile epico che traspare in esse, pagina dopo pagina.

Per Fenoglio la scrittura era una vera e propria ossessione. Raccontare, raccontare, raccontare. Uno stile asciutto, severo, diretto: come sono i langaroli. Scriveva con Einaudi, ma con una certa insofferenza: in ritardo con i pagamenti, in contrasto con i titoli, Fenoglio non ebbe fin da subito la fama che gli è attribuita. Per giunta, il suo nome fu sempre legato alla letteratura di guerra, anche se Fenoglio considerò sempre la “materia partigiana” come una stagione della sua vita, una tappa del suo percorso di scrittore.

Nel 1960 sposò la fiamma di sempre, Luciana Bombardi, con rito civile - grave scandalo, all’epoca! - e andò in viaggio di nozze sostanzialmente dietro casa, a Ginevra. Fenoglio si proclamava agnostico, e non si piegò alle pressioni di chi gli proponeva un rito in chiesa. Beppe, con Dio, ragionava di par suo. Ed ebbe modo di conoscerlo presto, quel Dio che sovrastava le colline irregolari della Langa. Presto perché lo scrittore fumava come un turco. Oltre 60 sigarette al giorno: inevitabilmente, il cancro ai polmoni se lo portò via il 18 febbraio 1963, lasciando una figlia, Margherita, che egli amò tanto e alla quale consegnò l’ultimo suo scritto. Oggi, la Langa è patrimonio Unesco. Nel 2014 Alba e tutte le colline del vino sono diventate patrimonio dell’umanità; ma nel dopoguerra - e anche prima - la Langa era frontiera, terra di sforzi titanici, di povertà e miseria. Terra di Malora, per usare un famoso titolo fenogliano del 1954. A rendere celebre la provincia del vino è oggi un felice connubio di cibo eccellente e paesaggi indimenticabili; ma, sotto sotto, ancora oggi, sfidando le pendenze e raggiungendo, a piedi, la vetta di una collina pettinata di vigneti, si ha un po’ quella sensazione di solitudine, di mistero e di forza che i contadini di Langa respirano da sempre e che Fenoglio, con il suo stile personalissimo, ha reso immortale.

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